‘Ndrangheta politica, tutti i dettagli sul presunto comitato d’affari

Carlomagno

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Nazzareno Salerno
Nazzareno Salerno

Un comitato d’affari avrebbe distratto finanziamenti comunitari vincolati al progetto regionale “credito sociale” destinanti ai poveri, indirizzandoli su conti correnti di società private, anche all’estero.

Per questo nove persone, tra cui esponenti politici, imprenditori e amministratori pubblici della Regione Calabria, nonché 2 soggetti contigui alla cosca Mancuso di Limbadi sono state arrestate con le accuse di minaccia ed estorsione aggravata dal metodo mafioso, corruzione, peculato e abuso d’ufficio.

L’operazione, denominata Robin Hood, è stata messa a segno dai carabinieri del Ros e dal comando provinciale carabinieri di Catanzaro e il comando provinciale della guardia di finanza di Vibo Valentia, che hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa su richiesta della procura distrettuale antimafia di Catanzaro.

Le indagini hanno documentato l’ingerenza mafiosa della potente cosca ‘ndranghetista dei Mancuso nella gestione dei fondi della comunità europea diretti al sostegno economico di nuclei familiari in difficoltà.

In particolare, l’attività ha accertato l’esistenza di un comitato d’affari che avrebbe distratto i finanziamenti comunitari vincolati al progetto regionale “credito sociale”, indirizzandoli su conti correnti di società private, anche all’estero.

Tra gli arrestati c’è anche il consigliere regionale di Forza Italia, ex assessore al Lavoro, Nazzareno Salerno, 52 anni, di Serra San Bruno. Salerno, eletto alle ultime elezioni regionali con oltre 9 mila voti è stato rintracciato al Nord Italia, dove si trovava per lavoro.

L’intervento ha interessato la Calabria, il Lazio e la Toscana ed il Veneto, e ha previsto la contestuale esecuzione di un decreto di sequestro preventivo di beni per un valore di circa 2 milioni di euro e l’interdizione dall’attività a carico di una società operante nel settore finanziario.

Oltre a Salerno, arrestati Pasqualino Ruberto, ex presidente di Calabria Etica e consigliere comunale di Lamezia Terme; Vincenzo Caserta, ex direttore generale del dipartimento Lavoro della Regione; Claudio Isola, ex componente della struttura speciale dell’assessorato al Lavoro della Regione Calabria; Vincenzo Spasari di Nicotera, impiegato di Equitalia a Vibo Valentia; Gianfranco Ferrante, di Vibo Valentia, imprenditore; Ortenzio Marano, di Belmonte Calabro (Cs), ex amministratore delegato della Cooperfin Spa, Giuseppe Avolio Castelli e Bruno Della Motta, intermediario finanziario al momento irreperibile. Spasari e Ferrante sono ritenuti contigui alla cosca Mancuso di Limbadi.

Vincenzo Spasari – è scritto nell’ordinanza – è il padre della ragazza che per il suo matrimonio atterrò con l’elicottero nella piazza centrale di Nicotera. Un fatto che suscitò molte polemiche che portarono prima alle dimissioni del sindaco del centro e poi allo scioglimento (anche se l’iter era già stato avviato) per infiltrazioni mafiose.

L’INCHIESTA – I provvedimenti scaturiscono da un’articolata manovra investigativa congiunta e coordinata dalla Procura di Catanzaro, che ha consentito di documentare l’esistenza di un comitato d’affari composto da esponenti politici, imprenditori, amministratori pubblici e affiliati alla ‘ndrangheta costituito allo scopo di gestire le risorse del progetto regionale “credito sociale” finanziato con fondi della comunità europea, finalizzati all’erogazione di micro-crediti a favore di nuclei familiari in difficoltà economiche.

L’indagine ha raccolto consistenti elementi probatori a carico di Nazzareno Salerno, all’epoca dei fatti assessore al lavoro e alle politiche sociali della Regione Calabria, oggi consigliere regionale di minoranza al quale sono contestati i reati di abuso d’ufficio, turbativa d’asta, corruzione e minaccia a pubblico ufficiale aggravata dal metodo mafioso.

Secondo la Dda, nel quadro del più ampio progetto criminoso, Salerno avrebbe esercitato una pressione continua nei confronti di dirigenti preposti al proprio assessorato, al fine di imporre le sue scelte che gli avrebbero garantito ampia discrezionalità nella gestione del progetto credito sociale e dei relativi fondi comunitari.

Con la presunta complicità di Vincenzo Caserta, all’epoca direttore generale reggente del dipartimento di riferimento dell’assessorato e di Pasqualino Ruberto, all’epoca presidente della Fondazione Calabria Etica, affidava la gestione “economica” e “finanziaria” del fondo, cioè l’attività di erogazione dei sussidi in questione, ad un soggetto esterno, individuato nella società finanziaria Cooperfin Spa, di cui era amministratore delegato l’indagato Ortenzio Marano.

Gli accertamenti bancari svolti hanno consentito di tracciare il corrispettivo in denaro percepito dal Salerno per l’esternalizzazione del servizio di erogazione dei mini-crediti, in base a un accordo corruttivo in virtù del quale l’affidamento alla società Cooperfin sarebbe avvenuto in cambio di una somma di circa 230.000 euro.

Le indagini, spiegano gli inquirenti, hanno inoltre documentato la presunta intimidazione organizzata dal Salerno nei confronti di un funzionario della regione, Bruno Calvetta (predecessore di Caserta), che si era opposto alle sue pretese ostacolando l’iter amministrativo e andando contro il complessivo progetto criminoso.

A tal fine il Salerno si rivolgeva a due pregiudicati notoriamente indicati come riferibili alla cosca Mancuso, che minacciavano il riottoso funzionario nel corso di un incontro svoltosi all’interno di un vivaio documentato dai Carabinieri del Ros, il quale era costretto in seguito a desistere e consentire lo svolgimento delle operazioni di gestione del progetto secondo i voleri del Salerno e del comitato affaristico/criminale, affidando la procedura per assegnare il servizio di esternalizzazione a Vincenzo Caserta, dirigente regionale ritenuto longa manus del Salerno, che affidava la gestione dello strumento di ingegneria finanziaria alla fondazione Calabria Etica (in realtà priva di competenze e dei requisiti per la gestione di uno strumento finanziario di microcredito).

La predetta fondazione, sotto la guida di Pasqualino Ruberto, altro uomo ritenuto “in affari” col Salerno, nel giro di appena 8 giorni provvedeva a assegnare il servizio alla Cooperfin S.p.a. Gli specifici accertamenti bancari svolti dalla Guardia di finanza hanno consentito di documentare come la predetta finanziaria aggiudicatrice, sotto la guida del suo rappresentante legale Ortensio Marano, si appropriava di ben 1,9 milioni di euro di fondi pubblici di matrice comunitaria, tra cui somme che venivano versate su conti correnti di Nazzareno Salerno per un importo complessivo di 230 mila euro.

I residui fondi messi a disposizione dalla regione venivano gestiti da Cooperfin, mediante riversamenti su propri conti correnti intestati principalmente ad una società partecipata (M&M Management), per effettuare prestiti cambializzati nell’ambito della sua normale attività di finanziaria. Inoltre, “in maniera altrettanto spregiudicata e disinvolta”, la quota di circa 800 mila euro ancora giacente sul conto corrente dedicato, veniva “investita” in Svizzera, con la causale “progetto giubilare” in capo ad una società sulla quale sono ancora in corso accertamenti.

Tale operazione veniva condotta con la consapevolezza della provenienza pubblica del denaro utilizzato, unitamente a due soggetti ( Bruno Della Motta e Avolio Giuseppe Castelli), già “attivi” nel mercato finanziario illecito.

L’intero progetto criminoso, già di per sé estremamente grave, assume i caratteri di allarme e pericolo ove si consideri che tale operazione è stata avallata e resa possibile dall’intervento di chiara matrice intimidatoria di soggetti riferibili alla famiglia di ‘ndrangheta dei mancuso, (gli arrestati Ferrante Gianfranco e Spasari Vincenzo), intervento resosi indispensabile e eseguito al momento giusto per il raggiungimento del programma criminoso ideato dal presunto comitato d‘affari nel quale ogni componente ha contribuito secondo le proprie competenze e specialità che, nel caso della famiglia Mancuso, sono l’esercizio delle classiche metodologie mafiose di minaccia e intimidazione.

Per tale determinante intervento la famiglia Mancuso riceverà in cambio una serie indiscriminata di assunzioni presso l’ente regionale Calabria Etica, una delle quali in favore di un cognato dello stesso capo cosca Luigi Mancuso.