Renzi da Napolitano per una strategia condivisa sulle riforme

Carlomagno

Ai Lettori

Secondo Piano News non riceve finanziamenti pubblici come i grandi e piccoli media mainstream sovvenzionati a pioggia dallo Stato. Pertanto chiediamo ai nostri lettori un contributo libero che può permetterci di continuare a offrire una informazione vera, libera e corretta.

SOSTIENI L'INFORMAZIONE INDIPENDENTE
 
SEGUICI SUI SOCIAL
Per ricevere gli aggiornamenti lascia un like sulla nuova pagina Fb. Iscriviti anche al Gruppo "Un Unico Copione Un'Unica Regia". Seguici pure su TELEGRAM 1 (La Verità Rende Liberi); e TELEGRAM 2  (Dino Granata), come su Twitter "X" SPN nonché su X (Dino Granata)
Renzi con Napolitano
Renzi con Napolitano

Carlo Bertini per La Stampa

«Tra dicembre e gennaio chiudiamo, andremo velocissimi», assicura il premier al Tg1. Garantendo che se il Parlamento farà le riforme durerà fino al 2018; che il patto del Nazareno ha ancora senso, a prescindere dalle regionali e «non ho paura nè di Berlusconi nè di Salvini». Che l’astensionismo «non è contro il governo ma è frutto delle vicende emiliane». E che «se qualcuno non ha rispettato l’accordo Pd sul Jobs act è un problema suo, problema nostro è chi finora non ha avuto le tutele, come i precari».

Il premier parla dopo aver parlato con Napolitano, «al quale quando saranno fatte le riforme dovremmo dire un grande grazie», con il quale ha concordato un percorso. Rapido, condiviso, con garanzie sulla durata della legislatura e magari con una clausola che renda utilizzabile l’Italicum, solo come ultima ratio, anche prima dell’approvazione della riforma costituzionale.

Dopo le diserzioni sul Jobs act Renzi mette ormai in conto la guerriglia dentro Forza Italia e nel suo partito: si capisce meglio la ragione dell’ascesa al Colle per un colloquio di oltre un’ora col Capo dello Stato. Accompagnato dalla Boschi, Renzi arriva al Quirinale sulla scia delle polemiche di un Pd scosso da fibrillazioni, con la minoranza pronta a dar battaglia sulle riforme costituzionali alla Camera e sull’Italicum al Senato.

I segnali sono molteplici e consigliano un’accelerazione che va gestita con ordine e metodo, almeno questo sembra esser l’esito del rendez-vouz con il capo dello Stato. Obiettivo del governo, far approvare entro dicembre-gennaio la riforma del bicameralismo alla Camera e perfino l’Italicum al Senato.

Dove si dovrà pure procedere al varo del Jobs act, da ieri in Commissione Lavoro. E sul quale la Camusso intende perfino presentare un ricorso alla Corte di Giustizia europea. Le parole usate nel comunicato del Colle, esprimono la volontà di procedere con il più ampio consenso e di varare riforme organiche tra loro.

«Durante il colloquio di stamattina – spiega il comunicato del Quirinale – è stato ampiamente esposto il percorso che il governo considera possibile e condivisibile con un ampio arco di forze politiche, per quello che riguarda l’iter parlamentare dei due provvedimenti fondamentali già a uno stato avanzato di esame – legge elettorale e legge costituzionale per la riforma del bicameralismo paritario – i quali sono incardinati per la seconda lettura. Un percorso che tiene conto di preoccupazioni delle diverse forze politiche, soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra legislazione elettorale e riforme costituzionali».

È su quest’ultimo punto che ci sarà battaglia da parte di chi vuole legare l’Italicum alla riforma costituzionale: non è un caso la saldatura tra Roberto Calderoli e Vannino Chiti, che guidò la fronda di dissidenti Pd sulla riforma del Senato. Entrambi propongono norme che facciano entrare in vigore l’Italicum solo dopo la riforma del bicameralismo.

La riforma che contiene l’abolizione del Senato elettivo, arriverà in aula alla Camera il 16 dicembre, dopo il passaggio in commissione: dove già sono piovuti 1170 emendamenti, 338 dei grillini. Tra i 199 del Pd spiccano quelli delle minoranze che tornano alla carica su Senato elettivo e quorum più largo per eleggere il capo dello Stato.

Ma per completare l’iter della doppia lettura in entrambi i rami del Parlamento, servirà un iter lungo e periglioso. La legge elettorale invece da ieri è in prima commissione al Senato, dove la presenza di membri della minoranza Pd di altre commissioni è stata letta come segno di una volontà di dare filo da torcere al premier.