L'intesa tra Renzi e Berlusconi per il Quirinale sembra più fragile

Carlomagno

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Stefano Folli per Repubblica

Lo scenario politico è cambiato in fretta a cavallo di Capodanno. Tanto in fretta che adesso le incognite superano le certezze. Fino all’altro giorno l’accordo Renzi-Berlusconi appariva abbastanza solido, una cornice in grado di reggere alla duplice, imminente prova: prima la riforma elettorale al Senato e subito dopo, alla fine del mese, l’elezione del capo dello Stato. Franchi tiratori nei due campi erano messi nel conto, certo, ma gli ottimisti, pallottoliere alla mano, dimostravano che il premier aveva in mano i numeri giusti e che il suo alleato di Palazzo Grazioli gli sarebbe rimasto al fianco con lealtà. All’improvviso oggi prevale un’idea di fragilità. Peggio: i contorni del patto del Nazareno diventano opachi e certe contiguità politiche sembrano solo lo schermo per scambi inconfessabili, benché maldestri, e giochi di potere poco limpidi.

Può sembrare incredibile, ma la vicenda tragicomica del decreto fiscale e del tetto al 3 per cento per salvare Berlusconi, potrebbe essere davvero il frutto di un gran pasticcio all’italiana e non il parto di due cospiratori. Ma ai fini pratici non cambia nulla. Né cambia qualcosa che il presidente del Consiglio si sia assunto la responsabilità di aver inserito la norma contestata nel decreto dopo aver dichiarato di non saperne nulla (ma in precedenza aveva anche detto di aver dedicato tutto il tempo necessario alla lettura puntigliosa, paragrafo per paragrafo, del provvedimento fiscale).

Aquesto punto diventa meno importante conoscere chi, materialmente, ha scritto il famigerato passaggio. Conta di più capire quali saranno le conseguenze politiche e parlamentari del grave errore. Il fatto che Renzi se lo sia caricato sulle spalle, nel tentativo di alleggerire la pressione mediatica, e abbia ritirato il testo (almeno fino a dopo il voto sul capo dello Stato), non risolve la questione di fondo. Semmai certifica che il colpo ricevuto ha messo il premier in una difficoltà senza precedenti.

In un attimo ha ripreso vita la minoranza del Pd, che Renzi non aveva esitato a umiliare nei mesi scorsi; e lo stesso Grillo sembra uscito all’improvviso dal suo letargo. La partita del Quirinale si fa più incerta e per i candidati vicini al premier la strada è in salita.
Non è un buon risultato per l’uomo che si vanta, non a torto, di aver quasi cancellato il movimento dei Cinque Stelle e di aver cambiato la fisionomia della vecchia sinistra. Ma Renzi impara a sue spese che basta sbagliare una mossa per ritrovarsi ai piedi della montagna.

E in questo caso le mosse sbagliate sono due. Quella sul fisco, le cui ricadute vanno molto al di là del caso Berlusconi perché si toglie rilevanza penale a un numero eccessivo di reati tributari, dando l’impressione (magari solo l’impressione) di voler inseguire qualche tornaconto elettorale. E quella che riguarda il volo per Courmayeur. Qui il premier si è esposto alla polemica capziosa dei «grillini».

I quali hanno torto nel merito, perché un capo di governo ha diritto di spostarsi con i mezzi dello Stato, salvo che non vi rinunci per ragioni di opportunità (come fece a suo tempo Enrico Letta). Tuttavia hanno ragione su un punto: l’attacco ai privilegi della «casta» fu un argomento forte del Renzi prima maniera, quando voleva vincere le primarie nel Pd e frenare l’espansione dei Cinque Stelle. C’è quindi una certa contraddizione nei comportamenti, non grave e tuttavia insidiosa se qualcuno, come è accaduto, la fa rilevare.

La sfortuna del presidente del Consiglio è che questi episodi negativi, figli di un eccesso di sicurezza o di errori di valutazione, avvengono alla vigilia dei due passaggi cruciali della legislatura. Il patto del Nazareno si è indebolito nel momento sbagliato. A conferma che spesso le scelte politiche sono condizionate da stati emotivi e psicologici. Il «renzismo» fino a oggi ha goduto di circostanze molto favorevoli nella psicologia di massa. Vedremo se saprà reagire a questi non irrilevanti incidenti di percorso.