Lo sgarbo di un metodo e il futuro del patto del Nazareno

Carlomagno

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Berlusconi si reca da Renzi nella sede del Pd. Nasce il patto del Nazareno
Berlusconi si reca da Renzi nella sede del Pd. Nasce il patto del Nazareno (Percossi/Ansa)

Angelo Panebianco per il Corsera

È una domanda, a volte implicita e altre volte esplicita, presente in quasi tutti i commenti sulla brillante operazione con cui Renzi, da campione di tattica quale è, ha portato alla presidenza della Repubblica Sergio Mattarella: e se avesse vinto «troppo»? Se la sua vittoria di oggi si rivelasse un boomerang domani? Il punto, naturalmente, riguarda il futuro della collaborazione fra Renzi e Berlusconi.

Certo, è assai probabile che, digerita la sconfitta, fattosi una ragione dello «sgarbo» subito (la politica è il luogo per eccellenza della sopraffazione: il più forte impone la sua volontà e il più debole subisce), Berlusconi sia di nuovo pronto, tra qualche tempo, a puntellare Renzi sulle riforme.

Come è stato osservato da tanti, egli non ha vere alternative. Ma se poi non ci riuscisse? Se, già debole per un insieme di ragioni, fosse ora diventato debolissimo a causa della botta inflittagli dal premier? Un Berlusconi troppo debole non servirebbe nemmeno a Renzi, perché non avrebbe più la capacità di trascinarsi dietro un numero di parlamentari sufficiente per sostenerne la politica.

A quel punto Renzi che farebbe? Fin qui ha usato Berlusconi come un machete per colpire i suoi nemici interni di partito e per aprirsi un varco nella boscaglia (parlamentare) attraverso cui far passare le riforme: legge elettorale, Senato, Jobs act, eccetera. Se in futuro questa possibilità, a causa dell’eccessivo indebolimento politico di Berlusconi, non ci fosse più, che ne sarebbe delle sue riforme?

In quel caso, i veri vincitori della partita sulla presidenza della Repubblica risulterebbero essere non i renziani ma i nemici di Renzi, e del patto del Nazareno.
Non sappiamo, naturalmente, se quella inferta da Renzi a Berlusconi sia la botta definitiva ma sappiamo che il centrodestra, sulla cui condizione di sbandamento ha scritto lucidamente Pierluigi Battista sul Corriere di ieri, difficilmente potrà bloccare il processo che lo spinge verso la frammentazione, il caos, e l’insignificanza politica.

Non è soltanto una questione di leadership: un capo in declino e nessun sostituto in vista. È anche questione di uno spostamento verso Renzi di rilevanti segmenti societari che in passato avevano guardato a Berlusconi. Ci sono sia ai piani alti (le élite economiche) che ai piani bassi (certi settori del ceto medio) una attenzione e una disponibilità a seguire Renzi, a prenderlo in parola, a scommettere sul suo riformismo, che automaticamente toglie spazio al centrodestra, ne riduce drasticamente il serbatoio elettorale.

Lo stesso successo (relativo) di Matteo Salvini, su posizioni estremiste, è in realtà una dimostrazione che, a causa dell’affermazione della leadership di Renzi, lo stritolamento elettorale della destra, e la sua ghettizzazione, non sono al momento contrastabili.

La politica, naturalmente, è imprevedibile. Ma è forse possibile scommettere che fin quando non si sarà esaurita (come disse Enrico Berlinguer della Rivoluzione d’Ottobre) la «spinta propulsiva» di Matteo Renzi, non ci sarà spazio per una rinascita del centrodestra.

Quella spinta propulsiva un giorno finirà e la parte della società italiana che, culturalmente, non ha nulla in comune con la sinistra, ma che è tuttavia oggi disposta a scommettere su Renzi, gli ritirerà improvvisamente la delega. E si metterà a cercare un nuovo cavallo su cui puntare a destra.
Solo a quel punto una destra di governo, ossia una destra in grado di sconfiggere elettoralmente la sinistra, potrà forse rinascere.
Verosimilmente, ciò non accadrà molto presto. La spinta propulsiva si esaurirà forse solo fra qualche anno. A meno che, tirando troppo la corda, e per eccesso di fiducia in se stesso, Renzi non si trovi, involontariamente, ad accelerare i tempi.