Caso Lanzetta, le contraddizioni e il ring del Pd calabro

Carlomagno

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Maria Carmela Lanzetta saluta Rosy Bindi
Maria Carmela Lanzetta saluta Rosy Bindi

Enrico Fierro per il Fatto Quotidiano

Si potrebbe titolare alla Carlo Emilio Gadda, “quel pasticciaccio brutto dell’Antimafia e della Lanzetta”. Nel senso di Maria Carmela, ora di nuovo farmacista nella sua Monasterace (Calabria), ieri ministro della Repubblica voluta da Matteo Renzi, spedita in Calabria con l’obiettivo di entrare nella giunta regionale di centrosinistra, e disoccupata della politica dopo aver detto no a quel posto per la presenza ingombrante di un assessore.

Andiamo con ordine. L’altro giorno a Catanzaro arriva la Commissione antimafia e Rosy Bindi parla del caso Lanzetta. L’ho convocata tempo fa, dice la presidente, dopo una sua intervista al Corriere della Sera. L’ex ministra verrà sentita domani alle 8,30, l’intervista è del 2 novembre 2014, l’autore chiede alla Lanzetta notizie sulle minacce ricevute dalla ‘ndrangheta.

E lei, continua Rosi Bindi, risponde che no, di ‘ndrangheta non ha mai parlato. Mistero da chiarire. “Siccome era diventata un simbolo delle sindache anti-‘ndrangheta – aggiunge la Bindi -, e siccome in questa terra non è l’unico caso di contraddizione, la vicenda Girasole (sindaco antimafia di Isola Capo Rizzuto, poi finita in una inchiesta, ndr) insegna, io credo che la Commissione antimafia debba capire se una persona è oggetto di minacce da parte della ‘ndrangheta oppure no. Mi deve spiegare il prima e il dopo”. Tutto normale?

Non proprio. Quando era sindaco, a Maria Carmela Lanzetta bruciarono la farmacia di famiglia e spararono colpi di pistola alla sua macchina. In quel periodo calarono a Monasterace Pisanu, presidente dell’Antimafia, De Sena, allora deputato del Pd, Bersani.

A credere che quegli attentati avessero una chiara matrice mafiosa, fu la magistratura che affidò le indagini non alla procura ordinaria, ma alla distrettuale antimafia. Ma Rosi Bindi vuole capire se ci troviamo di fronte ad una “contraddizione”, o, peggio ancora, se c’è altro, tanto che si spinge a fare il paragone con l’ex sindaca Carolina Girasole.

L’Antimafia sa qualcosa sulla Lanzetta che l’opinione pubblica ignora? Se sì, siamo di fronte ad una notizia eclatante, perché quel “qualcosa” riguarda un ex ministro all’epoca scelto direttamente da Matteo Renzi proprio per le sue caratteristiche: donna e schierata contro la mafia.

La speranza è che la Commissione antimafia non si limiti a chiedere alla farmacista Lanzetta lumi su una intervista di tre mesi fa, ma le chieda anche il perché di quel rifiuto ad accettare la carica di assessore regionale. Lei lo ha già chiarito in tutte le salse con il sostegno del sottosegretario Graziano Del Rio e con note di Palazzo Chigi.

Non è entrata nella giunta di Mario Oliverio per la presenza di Nino De Gateano. Si tratta di un ex consigliere regionale i cui santini elettorali furono trovati in un covo del boss Giovanni Tegano. Un rifiuto che all’ex ministro è costato l’ostracismo dell’intero Pd calabrese. “Sei una stalker, da te non accettiamo lezioni di moralità”. Esaurite le curiosità sull’intervista, forse varrebbe la pena riflettere sul caso De Gaetano e non trasformare l’Antimafia in un ring fra correnti del Pd calabro.