Rai, Renzi punta sul ddl. Testo pronto in 10 giorni. I dubbi del Colle sul decreto

Carlomagno

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La presidente Rai Anna Maria Tarantola con il dg Luigi Gubitosi
La presidente Rai Anna Maria Tarantola con il dg Luigi Gubitosi

Goffredo De Marchis per La Repubblica

Alla fine non sarà un decreto a cambiare la Rai. È stata una minaccia utile a smuovere le acque ed ad accelerare i tempi, visto che a maggio scade l’attuale consiglio di amministrazione della tv pubblica. Il governo sceglierà la via del disegno di legge e lo farà nei tempi promessi da Matteo Renzi presentandolo entro marzo, quasi sicuramente in occasione del consiglio dei ministri del 6.

Non sarà un decreto anche perché dal Quirinale sono filtrati i dubbi, le perplessità del presidente Sergio Mattarella. Non ci sono i motivi di necessità e di urgenza: Viale Mazzini non vive una crisi finanziaria e i suoi vertici possono essere prorogati di qualche mese in modo da nominare i nuovi con criteri diversi da quelli fissati nella Gasparri. Riflessioni che il capo dello Stato, per vie informali, ha fatto arrivare a Palazzo Chigi. Anche il premier ha spiegato il senso dell’ipotesi- decreto: «Contro l’ostruzionismo delle opposizioni è l’unico strumento a disposizione ». E i pericolo del percorso naturale della legge sono evidenti.

Tutte le forze politiche infatti a parole vogliono cambiare la governance del servizio pubblico, liberarlo dai partiti e dalla lottizzazione. Insomma, modificare la Gasparri. Finora però alla Camera è stata depositata una sola proposta di legge, firmata dal Pd Michele Anzaldi. Niente da parte di Lega, Sel o Forza Italia. Niente da parte dei movimento 5stelle che pure ha la presidenza della commissione di Vigilanza ed è entrato in Parlamento con l’idea di scardinare Viale Mazzini. Come se le forze politiche in realtà fossero soddisfatte della legge attuale. «Così sarebbe finita con la nomina dei nuovi vertici con le vecchie regole – spiega Anzaldi – . La voce del decreto è servita a svegliare tutti».

La voce scatena comunque le reazioni. «La riforma della Rai avverrà tramite decreto se ci sarà ostruzionismo parlamentare », dice il ministro dell’Economia Piercarlo Padoan, azionista al 95 per cento della tv pubblica. La presidente della Camera Laura Boldrini invece avverte: «Non c’è motivo per un decreto. Mancano i requisiti di necessità e urgenza». Una posizione che fa alzare il muro dei renziani. Il vicesegretario Lorenzo Guerini consiglia di rileggere la Costituzione: «Sul decreto decide solo il capo dello Stato.

La valutazione sulla necessità e urgenza di decreti legge spetta a lui e a nessun altro. Con tutto il rispetto, la responsabilità di Laura Boldrini è oggi quella di presidente della Camera e non di presidente della Repubblica. A chi difende la presidente suggerisce «un breve ripasso serale di diritto costituzionale ad uso della sinistra radicale che difende la Carta ma non la ricorda».

Ernesto Carbone attacca: «Qualcuno spieghi a Laura Boldrini che é la Presidente della Camera e quali sono le sue funzioni e le sue responsabilità». Padoan però difende anche l’attuale vertice di Viale Mazzini. Giudica ottimo il piano per la riforma dell’informazione varata dal direttore generale Luigi Gubitosi. Un piano che sarà all’esame del cda Rai giovedì per essere votato entro marzo. È giallo però dentro il governo perché il sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli sostiene che le dichiarazioni del titolare di via XX settembre vanno considerate un equivoco.

Il disegno di legge che andrà in consiglio il 6 marzo fisserà le nuove regole di nomina degli amministratori Rai, sottraendo il controllo ai partiti e al Parlamento. Ma ci sono alcuni puntichiave da precisare. La proposta Anzaldi per esempio affida a una Fondazione la scelta dei consiglieri e dell’amministratore unico. Però non è facile trasferire le azioni dal Tesoro al nuovo ente. Quindi il governo manterrà un potere di nomina diretto? Sarà questo il terreno di scontro tra le opposizioni e Renzi?

Va definita anche la divisione dei ruoli tra presidente e consigliere delegato. È possibile che il primo abbia una ruolo più editoriale ovvero di gestione del prodotto e il secondo si occupi maggiormente dei conti e del coordinamento finanziario dell’azienda. Sono questi i dubbi mentre il cda sicuramente verrà ridotto da 9 a 5 membri. Comunque il disegno di legge affronterà in maniera diretta la sola questione della scelta dei vertici, ovvero la parte più urgente dell’intervento sulla televisione di Stato. Ad aprile infatti il cda approverà il bilancio e scadrà un mese dopo quel voto, a maggio. Renzi punta ad approvare la riforma entro luglio, prorogando di soli due mesi Tarantola e Gubitosi. Un intervento sulla mission dell’azienda avverrà invece a fine anno quando l’esecutivo interverrà sul contratto di servizio.