28 Marzo 2024

Gratteri: Napolitano (e l’Anm) non mi volle ministro: “Io senza casacca”

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La foto postata da Secondo Piano News a febbraio 2014 Gratteri silurato da Napolitano
La foto pubblicata da Secondo Piano News a febbraio 2014

Fu Giorgio Napolitano a non volere la nomina di Nicola Gratteri a ministro della Giustizia il 21 febbraio 2014, quando l’ex premier Matteo Renzi salì al Colle con la lista dei ministri. A confermarlo è stato lo stesso procuratore capo di Catanzaro a Riccardo Iacona in una intervista che andrà in onda lunedì alle 21.15 su Rai3 nello spazio “Iacona Incontra”, novità della nuova stagione di “Presadiretta“, che parte appunto domani.

Nell’immagine “scoperta” e postata allora da Secondo Piano News su Twitter, negli appunti dell’allora premier c’era scritto: “Magistrato in Servizio”. Una nota forse scritta e mostrata dal premier affinché qualcuno potesse accorgersi del “vero” motivo del siluramento del magistrato antimafia. 

“Mi è stato detto – spiega il magistrato a Iacona – che fu Giorgio Napolitano a non volere la mia nomina. Non capisco perché un magistrato non possa fare il ministro della Giustizia”.

Ma a spingere l’ex capo dello Stato a frenare su Gratteri, circola in ambienti dei palazzi romani, pare sia stata l’Anm che lo vide probabilmente come un “anarchico”, inteso senza casacca. La nomina saltò ed ecco che, dopo ore di frenetiche consultazioni al Colle, spuntò il nome di Andrea Orlando che si ritrovò Guardasigilli il tempo di una telefonata.

Due anni fa, nel febbraio del 2014, quando Renzi era in pectore per palazzo Chigi, proprio negli studi del programma Iacona aveva chiesto a Gratteri se fosse disposto a fare il ministro in caso di richiesta. E dopo l’intervista Gratteri incontra Renzi che lo inserisce nella lista dei ministri. “Ero nell’elenco dei sedici ministri – racconta il magistrato – e ho accettato perché mi era stato garantito di avere carta bianca nel fare le riforme che servivano a far funzionare il processo penale, quelle riforme che servivano a non rendere conveniente delinquere”.

Poi è andata a finire diversamente. Gratteri la spiega così: “La verità è che sostanzialmente io sono troppo indipendente, non sono collocabile in nessuna corrente. Sono un ribelle, per natura un rivoluzionario, una persona che non vuole essere collocata da nessuna parte né appartenere a qualcosa o a qualcuno. Al potere non interessa se tu sei di destra o di sinistra o di centro, il potere vero vuole che ci sia sempre qualcuno sopra di te che garantisca per te”.

Gratteri durante l’intervista parla anche della collaborazione avuta con il governo Letta e successivamente con il governo Renzi che ha prodotto un rapporto fatto di 150 punti. “Abbiamo cercato di far funzionare il codice di procedura penale perchè il motivo principale per cui i reati si prescrivono è che i processi non si celebrano per cose banali, apparentemente irrilevanti. Per esempio quando uno dei tre componenti del collegio cambia, il processo ricomincia da capo. E intanto i mesi passano e il reato si prescrive. Ogni giorno in Italia ci sono 44mila uomini della polizia penitenziaria, 10mila di questi ogni mattina sono in giro per l’Italia perchè devono portare l’imputato o il testimone di giustizia in aula a testimoniare. Tutto questo costa 70 milioni di euro l’anno. Soldi con cui potremmo assumere cancellieri, segretari, uomini della polizia penitenziaria. Questo è un solo articolo della riforma, passato alla Camera e fermo al Senato”.

A giudizio di Nicola Gratteri, con il solo intervento sulla semplificazione procedurale o con queste idee applicate “i tempi del processo si ridurrebbero tranquillamente del sessanta per cento”. In questo modo quel 60% dei processi che vanno in prescrizione non andrebbero in prescrizione. “La gente non crede in noi perché non ha fiducia, perché non diamo risposte. Noi dobbiamo intervenire sui reati cosiddetti “bagatellari”, io ho bisogno – dice ancora il magistrato nell’intervista televisiva – che la gente creda in me perché se oggi dò risposte su una truffa online, domani la stessa persona mi denuncia un’estorsione, mi denuncia un’usura”. Da otto mesi è diventato procuratore capo di Catanzaro: “Sono arrivato qui e ho trovato una grande difficoltà, ogni sostituto mediamente ha 1000/1100 fascicoli. Questo vuol dire vuol dire che il 50% verranno prescritti, moriranno in questo ufficio”, per le ataviche carenze di organico e strumentali, ma soprattutto per le mancate riforme della Giustizia che voleva fare Gratteri.

Lotta alla ‘ndrangheta – Nell’intervista a “Presadiretta”, il magistrato ha anche detto come la ’ndrangheta sia diventata classe dirigente a causa della politica debole e, alcuni magistrati, secondo un pentito, sarebbero “incappucciati” nelle logge massonoche.

Se si guarda alle indagini che si stanno facendo nel Centro e nel Nord Italia “emerge sempre di più che ci sono dei soggetti vicini alla ’ndrangheta che gestiscono la cosa pubblica”, afferma. E sul livello di pericolosità della ’ndrangheta nelle province di Catanzaro, di Cosenza, di Crotone e Vibo Valentia, il magistrato sottolinea: “Il nostro lavoro è quello di fare indagini a tutto tondo. Il senso della paura e del limite l’ho vinto da tanti anni. Con la morte ci ho discusso trent’anni fa. Bisogna ragionare con la paura, bisogna controllare la paura, non farsi prendere dal panico. Penso di poter fare tante cose importanti, tante cose belle, con l’aiuto dei miei ragazzi, dei miei colleghi che sono meravigliosi”.

Gratteri parla dei meccanismi veri del potere, delle camere “non istituzionali”, camere che non sono trasparenti in cui si decidono le cose. Traccia un racconto dell’ingresso massiccio della ’ndrangheta dentro la Massoneria.
“La ’ndrangheta ha potuto fare il grande salto di qualità perché è in contatto con medici, ingegneri, avvocati, professionisti. In alcune logge massoniche deviate – prosegue Gratteri – c’erano tre incappucciati e tra questi, ci dice un collaboratore di giustizia, anche dei magistrati. Questo grande salto di qualità ha consentito alla ’ndrangheta di entrare nella stanza dei bottoni, l’obiettivo non è più solo vincere l’appalto ma indicare se l’opera deve essere costruita e dove deve essere costruita. La politica è debole e così la ’ndrangheta è diventata classe dirigente”.


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