29 Marzo 2024

Corruzione e maltrattamenti nei centri d’accoglienza: due arresti

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Da sinistra Mario e  Giovanni Pellizzeri
Da sinistra Mario e Giovanni Pellizzeri

Corruzione, falso in atto pubblico e maltrattamenti”. Sono queste le accuse con cui due persone sono state arrestate e poste ai domiciliari dai carabinieri della compagnia di Giarre (Catania), nell’ambito di indagini sui centri d’accoglienza (operazione Camaleonte). Disposto un divieto di dimora.

Il provvedimento, emesso dal gip presso il Tribunale di Catania su richiesta della Procura Distrettuale della Repubblica, dispone gli arresti domiciliari per Giovanni Pellizzeri, di 56 anni, il figlio Mario Pellizzeri, 29 anni, e il divieto di dimora nella provincia di Catania per Isabella Vitale, di 48 anni.

I reati sarebbero stati posti in essere nell’ambito della gestione dei minori stranieri non accompagnati giunti sul territorio italiano in occasione degli sbarchi.

Secondo l’accusa, gli stessi minori venivano affidati – sulla base di accordi corruttivi intervenuti con un dipendente del Comune di Catania (ora in quiescenza) – alle Comunità gestite dagli indagati, strutture fatiscenti e prive delle necessarie autorizzazioni.

Nell’ambito del procedimento – nel quale sono indagati altri 7 soggetti (alcuni dei quali dipendenti ed ex dipendenti dei comuni coinvolti nell’accoglienza) – è stata altresì richiesta una misura interdittiva nei confronti di un dipendente del Comune di Sant’Alfio.

L’INCHIESTA 
Le indagini si sono sviluppate lungo le seguenti tappe fondamentali: alla fine del 2014, a seguito di alcuni fatti di violenza, venivano avviati accertamenti sulle comunità di accoglienza per minori gestite dalla cooperativa “Esperanza”; nelle stessa comunità la onlus “Save the Children” aveva segnalato gravi negligenze della cooperativa nella gestione dei minori; venivano quindi delegate alla polizia giudiziaria primi accertamenti sugli amministratori della Comunità e veniva individuato in Giovanni Pellizzeri il reale amministratore delle coop. All’uomo (unitamente al figlio Mario e a Isabella Vitale) veniva poi ricondotta la complessiva gestione di sei centri di accoglienza attraverso due diverse cooperative.

Gli investigatori avviano le prime attività tecniche e trovano conferme al grave (presunto) quadro di maltrattamenti cui erano sottoposti i minori ospiti delle strutture. In alcune conversazioni, Giovanni Pellizzeri e Isabella Vitale, definivano gli ospiti della struttura “zingari” e “porci” e, in circostanze nelle quali occorreva l’acquisto di alcuni farmaci, commentavano “…I farmaci generici si! Ma no questi qua! Assolutamente no! Per me può buttare sangue…”.

In alcune intercettazioni si legge: “No, gli devi dire, quando parlano questi Porci, che dico la stessa cosa che dice quello: questi Porci/gli devi dire: le mie comunità/tutte queste, sono delle comunità alloggio per minori italiani/lo stato di emergenza mi ha fatto accogliere questi Porci, ci siamo? ma le comunità sono per italiani /quindi, se non si sbrigano ad andarsene a calci in culo a casa… perchè io ho i bambini italiani che aspettano di entrare”.

In un’altra conversazione viene captato: “…Dopo una giornata che sono piedi piedi (in giro) per questi “gran zingari e pezzi di merda” giusto?”; e poi ancora: “Può buttare sangue e può morire fracido” (riferito ad un minore).

Inoltre, scrivono gli inquirenti, sarebbero state accertate gravissime carenze sanitarie e strutturali. Le indagini rivelavano come un dipendente del Comune di Catania (non attinto da misura perché nel frattempo posto in pensione), dietro pagamento di somme di denaro inviasse con regolarità i minori presso le cooperative di Pellizzeri nella consapevolezza della irregolarità delle stesse.

Da quanto emerso si evince che il dipendente curasse la regolarità dei pagamenti in favore dei Pellizzeri e si adoperasse anche al fine di evitare la chiusura delle comunità, pur consapevole della mancanza di titoli autorizzativi e della presenza di condizioni di accoglienza insostenibili.

Sarebbe stato anche accertato come Pellizzeri avesse ottenuto dall’Ufficio tecnico del Comune di Sant’Alfio un parere positivo per il rilascio dell’autorizzazione fondato su palesi falsità materiali ed ideologiche (fatto per il quale è stata richiesta misura interdittiva nei confronti di un dipendente dello stesso Comune).


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