29 Marzo 2024

Berlusconi allunga l'agonia del Paese se pensa di decidere le primarie del Pdl. Nessuna contromossa potrà arrestare la modernizzazione dei partiti

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Silvio Berlusconi esce nuovamente allo scoperto e irrompe col suo stile sulla scena politica italiana. Non ci sta ad essere rottamato, men che meno formattato dai suoi “figli” e chiacchierato dai maggiordomi nominati nei due rami del parlamento. Il Cavaliere non vuole cedere ad altri il più grande patrimonio (non parliamo di quello economico) costruito con fatica in venti lunghi anni di sacrificio politico, di impegno personale e spesso mal di pancia. Ecco perché tentenna. Un giorno dice “faccio un passo indietro”,  quello seguente smentisce. Facciamo le primarie? Avanti adagio. “Ok, facciamole, ma decido io i garanti”. Ma dove siamo?, in qualche staterello arabo? In questo Gianfranco Fini, coofondatore del Pdl “cacciato” per incompatibilità col capo, aveva e ha ragione da vendere. Berlusconi non ammette il dissenso. Si sente ancora il “padrone” indiscusso del Pdl, del suo partito, della sua grande “azienda”. E’ istinto naturale di un padrone difendere ciò che sente suo. Il cavaliere sbaglia quando non comprende, purtroppo per lui e per noi, che in politica i cicli finiscono. [quote style=”boxed”]Il Cavaliere è ossessionato dal ricambio generazionale. Ma non capisce che è finito un ciclo[/quote]Quando sente parlare di Primarie a Silvio viene l’orticaria (infatti non ne ha mai indette in ventanni). E’ come se fosse ossessionato dal ricambio generazionale, ovvero se si realizza, anche a cent’anni lui vuol essere protagonista, stare sempre sulla (o dietro) la scena. Soffre se vede che qualcuno possa rubargliela, a meno che non sia lui, il regista a decidere chi può fare “l’attore” di primo piano o la “comparsa”. E non si è reso (e rende) conto che così facendo ha distrutto tutto, tranne le sue aziende che sono salde sotto la guida dei figli. Pierferdinando Casini e lo stesso Fini, un tempo “eredi” naturali, (ma  poi diseredati), alla sua successione, conoscendolo bene, oggi  godono politicamente di questa situazione. Sia Fini che Casini capirono anzitempo, (Pier, un po’ prima) che per loro non c’era lo spazio che si aspettavano. Avevano compreso questa “mania”, la tendenza di Berlusconi a non mollare l’osso. Capirono entrambi che l’ombra del Cav. era troppo ingombrante per un partito che aveva un capo e due eredi che a loro volta dovevano contendersi un’unica poltrona: quella di capo del governo. La leadership del Pdl e del centrodestra sapevano che spettava sempre e comunque a B, anche se questo avesse deciso di cedere il passo, come è avvenuto fittiziamente e non senza ipocrisie con il giovane Alfano. Chi dei due, nel “dopo Berlusconi”, quindi in questi mesi, avrebbe potuto ambire a questi ruoli? Sarebbe stata una guerra che neppure le grandi mediazioni del compianto Pinuccio Tatarella potevano evitare. Ecco perché Berlusconi, fatti fuori Fini e Casini, è rimasto il dominus incontrastato, “il padrone”, assoluto come dice oggi Fini. Dicevamo che Casini comprese un po’ in anticipo che fosse meglio la rottura e fare l’ago della bilancia negli assetti politici-elettorali, piuttosto che essere la terza fila in eterno: e sempre e comunque dopo Fini. Oggi pur avendo il sei percento di consensi ha dimostrato di saper fare il gioco che più era congeniale ai democristiani: un piede nel palazzo, l’altro nella stanza dei bottoni. L’importante è “c’entrarci”. Per lui, del resto, nella “grande casa” dei moderati pidiellina, era molto difficile aspirare alla presidenza del Consiglio o avere un ruolo in un partito in cui si sentiva sì rappresentato, ma fortemente minoritario. Ecco perché la rinuncia all’invito di San Babila.  A quei tempi, per Berlusconi, ma anche per molti popolani del Popolo della Libertà, Fini era il punto di riferimento indiscusso. Fini era l’idea del partito, l’esempio della militanza, l’onestà emersa dalle macerie giudiziarie del ’92. L’erede di Almirante – un lascito molto discusso all’interno della destra storica – che riuscì a traghettare i postfascisti nell’alveo costituzionale, soprattutto “istituzionale” e di Governo, quindi la guida politica e, al contempo, l’erede “su misura” per Berlusconi che, va ricordato, scese in campo nel ’93 appoggiando proprio la candidatura di Fini a sindaco di Roma.

Casini nel  ’92-93 era un giovane e ininfluente dirigente della Dc; Gianfranco Fini sfidava invece Francesco Rutelli nel post tangentopoli e prese, sotto le insegne del Msi, il 47 percento dei consensi. La Mussolini a Napoli più o meno la stessa cosa. Persero, ma fu una grande vittoria morale conquistata con decenni di opposizione, di rettitudine e di esempio politico dove passione, coerenza e onestà erano le parole chiavi di una stagione in cui si lasciavano le feste tricolori per entrare nei palazzi di governo. E così fu. Erano anni di intese incontrastate. Mai uno screzio. Per quindici anni tra grandi sogni e promesse tradite.
Poi vennero i veleni e le veline. La casa di Montecarlo, la spietata campagna dei giornali di Berlusconi contro il presidente della Camera. La giornata all’Ergife e quel “Che fai, mi cacci?…”. La dichiarazione di “incompatibilità” di Fini con il Pdl pronunciata da Berlusconi (che intanto, va detto chiaro e tondo, non risparmiava ore la notte per poter ben governare di giorno).
Fino alla richiesta di dimissioni del numero uno di Montecitorio. Poi ci fu la nascita di Futuro e Libertà fino alla storica giornata dello Spread con le pressioni internazionali che hanno costretto Berlusconi alle dimissioni, sollecitato dalla piazza e dal capo dello Stato Napolitano, il quale una quindicina di giorni prima nominò Mario Monti senatore a vita per poi affidargli le redini del Paese senza passare per il voto, nonostante il vantaggio nei sondaggi del Pd di Bersani di dieci punti. Tutti i leaders dei partiti, opposizione compresa, guidati da Giorgio Napolitano, hanno rinunciato alla responsabilità. Al loro dovere per cui sono anche ben pagati. Hanno cioè “svenduto” (termine giusto sebbene sia nelle prerogative del capo dello Stato incaricare qualcuno per formare un nuovo governo) il voto popolare cedendo la responsabilità a Monti di fare quel  “lavoro sporco” chiesto da poteri indefiniti in Europa e da quei mercati semi spaziali, invisibili, virtuali, ma che dettano legge e hanno in mano il boccaglio dell’ossigeno. Un lavoro questo esecutivo che sta continuando “bene” a colpi di decreti d’urgenza e decreti legislativi (cioè il Governo è delegato dal Parlamento a legiferare). Abdicazione assoluta o rinuncia per timore di assumersi le proprie responsabilità davanti agli elettori? La politica resta ora in attesa delle prossime elezioni. Spera di passare sulle macerie lasciate dai tecnici per raccogliere lacrime e consensi e quei pochi cocci rimasti di quella Italia che Silvio B. “aveva in mente” nel ’94.[quote style=”boxed”]I tanti silenzi, gli assensi reverenziali verso Silvio hanno favorito l’agonia della politica e del centrodestra [/quote]Il nuovo annuncio di Berlusconi, che a leggerlo da diverse angolazioni pare fatto apposta per non essere compreso, lascia l’amaro in bocca a quanti speravano in un rinnovamento concreto. Un suo passo indietro e un nuovo protagonismo politico, animato da quel confronto-dialogo-critica-dissenso, chiamiamolo come vogliamo, era auspicabile. Bisogna che i pidiellini lo ammettano: a destra molte volte si è stati in colpevole silenzio in attesa delle mosse del capo e dei tanti generali e colonnelli rimasti oggi senza truppe. Questo è il punto. Reverenziali e yesman fino all’ultimo; quasi come se la cosa più importante fosse incamerare vitalizi e corpose indennità, restare al proprio posto, “tanto ci va un altro ed è la stessa cosa”, diranno. A destra come a sinistra. Ma in termini politici non ha pagato. Che poveracci! Disonesti intellettualmente perché consentono che continui questo gioco al massacro contro gli interessi nazionali. L’agonia di un paese morente e di una politica appesa alla corda di Grillo. Un quadro devastante favorito da un diffuso clima di assenso reverenziale verso il capo corrente o capo partito. Un bruttissmo messaggio. A pochi anni dalle 80 primavere pensa come stare ancora sulla scena il prossimo ventennio, mr. B? Gli italiani e gli elettori del centrodestra dovrebbero impedirlo, dovrebbero dire con forza che “non vogliano invecchiare avendo lo stesso leader come a Cuba”. Spazio, largo, fate largo! Il Pdl faccia le primarie vere senza B e senza garanti designati da B. Senza uomini e donne un tempo nominati da B. Così la politica può recuperare credibilità. Per evitare che il “non voto” siciliano si ripeta alle politiche, dove Grillo, l’antipolitica e la “non politica” detengono la maggioranza dei voti.  Siate credibili. Rinnovate e svecchiate. Soprattutto all’alba del nuovo trionfo di Obama, che a 50 anni è già al secondo mandato mentre Napolitano che ha quasi 90 anni ha dovuto fare gli auguri degli italiani.


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