19 Marzo 2024

La Rai piena di debiti punta a confermare il Servizio pubblico nel 2016. Ma c'è in agguato Murdoch

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Sede Rai RomaTempi di magra per la Rai. Sull’azienda pende la scure di Cottarelli, il supermen di Renzi concentrato a far quadrare i conti della spesa pubblica. Diverse sono le incognite per viale Mazzini, la prima su tutte è l’imminente scadenza (2016) della concessione del Servizio pubblico.

L’incognita Murdoch, i tagli e l’accorpamento delle sedi

E i giochi non sono affatto scontati. La concorrenza è spietata e l’azienda è piegata da debiti, nella morsa di sprechi e non ultimo minata dal taglio di 150 milioni di euro previsti dal decreto Irpef dello scorso 19 aprile, che prevede anche l’accorpamento delle sedi regionali. Insomma la Rai, debole e vulnerabile com’è oggi, fa gola a molti. Rupert Murdoch, padre di Sky nonché magnate di “News Corporation”, uno dei più potenti conglomerati mediatici al mondo, potrebbe farci un pensierino, come del resto Mediaset che da Tv commerciale potrebbe avere i titoli per garantire il servizio pubblico; a meno di una riforma radicale dell’azienda di Gubitosi che da decenni si accaparra il servizio pubblico.

Le reazioni

Col decreto viene cancellato l’obbligo di avere una sede per ogni regione. Quella calabrese e lucana dovrebbero fondersi con quella di Napoli per rispondere alle esigenze di risparmio. Ed è già a Potenza che sorgono i primi malumori. La chiusura della sede regionale della Basilicata “sarebbe – secondo Cgil e Slc-Cgil – il tassello mancante per assicurare il colpo di grazia e la morte definitiva di un territorio già provato”. Invece la sede di Cosenza è un mega stabile per due terzi vuota e non sfruttata. Le reazioni sono forti anche in altre regioni, come il Veneto, l’Abruzzo e il Molise.

Usigrai in trincea

E se a prendere l’iniziativa contro la chiusura della sedi ci sono istituzioni e sindacati, sul piede di guerra c’è anche l’Usigrai, potente sindacato dei giornalisti Rai che in assemblea aperta hanno ribadito la necessità di “non tagliare, ma riformare l’azienda; non ridimensionamento, ma innovazione”. Insomma, la partita è rischiosa per la Rai, azienda che negli anni non è riuscita a riammodernare il servizio. Scarsissimi introiti pubblicitari e un’evasione del canone record (28%), che il governo prima ha anticipato di inserirlo nella bolletta elettrica per poi fare marcia indietro. Ora si pensa al canone “flessibile”, come spiega a “Repubblica” il sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli, una sorta di bolletta “variabile” a seconda delle capacità delle famiglie.

Canone, una tassa che non è tassa

Ma sul canone, una delle tasse più detestate dagli italiani, il governo dovrà ripensarlo. Una riflessione obbligata: Se si tratta di una tassa sul possesso di una  Tv si configura alla stregua di una tassa sul possesso di una casa o di un automobile. E’ logico. Allora, al di là dei pareri di legittimità che contano poco, bisogna chiedersi: perché se un cittadino ha due case o due auto è costretto a pagare due volte l’Imu o due volte il bollo e via dicendo, mentre chi possiede due o tre Tv (come la stragrande maggioranza) deve pagarne solo una di tassa? Se si afferma, come di consueto, che basta pagare solo una tassa anche se si possiedono due o più televisioni allora non si può parlare di tassa per la Tv ma di un servizio in licenza. E se è una sorta di servizio in licenza non può in alcun modo definirsi una tassa per il possesso di un singolo prodotto.  Se si tratta di una licenza vale solo per il servizio Rai oppure per le centinaia di canali che ormai spopolano sul digitale terrestre? Delle due l’una.

Il debito Rai tra sperperi e nababbi

Com’è noto sulla Rai pesa un debito spaventoso di circa 400 milioni che lievita ogni anno. A questo si aggiungono sperperi di ogni genere: centinaia di milioni di euro per le esternalizzazioni, indennità da capogiro per manager e blasonati conduttori, diritti per il calcio da cui non si ricava nemmeno il pareggio, fiction che raggiungono share minimi. Inoltre migliaia di dipendenti tra giornalisti, tecnici e impiegati cui in questa fase storica sarà comunque chiesto di stringere la cinghia con riduzioni salariali e contributi di solidarietà per giornalisti, ovvero una riforma della contrattazione che allinei a standard europei gli stipendi di corrispondenti, direttori e caporedattori Rai che oggi sono pari se non superiori ai parlamentari.

La privatizzazione e il piano Gubitosi

La strada intrapresa, o meglio pensata, è quella della privatizzazione. Renzi non è poi però tanto convinto. Almeno non lo era nel novembre 2013, quando a Rai “Agorà” disse che “la Rai è piena di debiti. Se la privatizzi, non lo fai per fare cassa”. E poi ancora: “Se c’è un canone, ci devono essere due, tre reti pubbliche che fanno solo servizio pubblico, senza pubblicità”. Era sindaco di Firenze in corsa alla guida del Pd. Adesso è premier e con Cottarelli condivide la linea dei tagli alla spesa pubblica per reperire parte di quelle risorse da dastinare alle promesse fatte sin dall’inizio del suo insediamento a palazzo Chigi. Qualche giorno fa da Gubitosi l’annuncio della vendita di RaiWay e di un nuovo Piano industriale “lacrime e sangue” per presentarsi evidentemente all’appuntamento del 2016 come un’azienda sana, riformata e competitiva.


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