28 Marzo 2024

Padoan e le pensioni: non ci andrete mai. Chi riceve vitalizi d'oro esegue gli ordini dall'Ue in barba all'esito elettorale.

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Matteo Renzi con Pier Carlo Padoan
IL POLITICO E IL TECNICO Renzi con Pier Carlo Padoan

Un paese in recessione che cresce al ritmo dello zero virgola zero “ha bisogno di riforme strutturali”, il che significa una sola cosa: abolire lo stato sociale delle attuali e future generazioni. Il copione è lo stesso. Sempre quello suggerito “riservatamente” nell’estate del 2011 dai banchieri al governo Berlusconi prima di farlo capitolare. I famosi “compiti a casa” che dopo la defenestrazione del cavaliere, li ha fatti fare agli italiani Mario Monti, il professorone scelto dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano a guidare il governo dei “tecnici” tanto caro a quella nomenclatura finanziaria che milioni di cittadini hanno sonoramente bocciato il 25 maggio scorso.

Oggi a guidare l’esecutivo c’è “l’innovatore” Matteo Renzi, colui che rottama e ribalta, almeno a parole, modelli e visioni precostituiti nel continente dominato dalle camarille che risiedono nel “triangolo della morte”. Almeno a parole, poiché di concreto nell’auspicato “cambio di passo” nell’Ue ci sono soltanto gli annunci “volenterosi” dell’ex sindaco di Firenze.

Si dirà che Renzi ha bisogno di tempo, ma il canovaccio recitato da quanti si sono succeduti negli ultimi 20 anni sembra lo stesso e fanno presagire che attorno al movimento agitato dell’acqua, lo “scoglio” dell’austerity rimarrà solido e ben saldo sul fondo là dove i “comandanti” dell’Unione europea han voluto adagiarlo.

Ne è la dimostrazione l’ultima uscita del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan che prima al Wall Street Journal – giornale portatore degli interessi della Finanza – rilancia e protegge lo “scoglio”, partendo proprio dalle pensioni: “Sono favorevole – dice – ad un graduale aumento dell’età pensionabile”. Poi al festival dell’economia di Trento, incalzato, conferma. Le agenzie battono la notizia e si leva un polverone tra organi politici e sindacali. Il ministro dell’Economia, probabilmente sollecitato, si affretta a smentire. Ma nella smentita ribadisce il concetto espresso all’estero. “Non ho detto che il governo stia pensando ad alzare l’età pensionabile che è già indicizzata alle aspettative di vita”. Semplicemente “non sono d’accordo a interventi per abbassare l’età pensionabile che stanno facendo alcuni Paesi, come la Germania”, paese che sta facendo quel giro di boa che l’Italia e altri paesi impiegheranno un secolo a compierlo.

Mario Draghi insieme al ministro Padoan
SINTONIA Mario Draghi col ministro Padoan

Fuori dal tecnicismo, per andare in pensione ci vorranno 70 anni con almeno 50 di contributi, poi 75, infine tra qualche anno 80, magari con 60 di contributi versati. Sembra grottesco ma le menti perverse di Bruxelles lo pensano davvero. Come? Truccando e manipolando le aspettative di vita attraverso gli istituti di statistica. Ecco la gradualità di cui parla Padoan.

A questo punto bisogna chiedersi che senso ha versare per mezzo secolo contributi (obbligatori!) all’Inps per “una scommessa” – quella di arrivare all’età pensionabile – che sappiamo di non poter vincere mai. O, se va bene, ne “beneficeremo” per qualche annetto pagando la retta di qualche ospizio.
Chi invece prende queste decisioni di questa portata per nostro conto riceve già vitalizi d’oro di 20/30mila euro al mese…

Per tornare alle frasi di Padoan, il ministro ai mercati ha detto “non preoccupatevi, perché continueremo a fare i compitini a casa in modo più serrato”, mentre agli italiani ha fatto intuire, tra il detto e il non detto, che la pensione da qui a qualche anno sarà soltanto una cupa illusione. La riforma Fornero non solo è la via maestra ma bisogna rafforzarla per rendere ancora più solido e impermeabile lo “scoglio” del rigore che tradotto significa “graduale” smantellamento del welfare.

Insomma, non ci saranno “mareggiate” capaci di scalfire ed erodere il potere costituito. Pier Carlo Padoan del resto è un tecnico di “successo” giunto ai piani alti della nomenclatura europea perché è uno che si “adatta” e soprattutto sa eseguire gli ordini come seppero eseguirli Dini, Ciampi, Prodi, Berlusconi, Monti e Letta con dietro le quinte sempre lui, Giorgio Napolitano che oggi in un messaggio per la festa della Repubblica ha predicato ancora la necessità delle “riforme strutturali”.

Chiuque si rifiuti di eseguire gli ordini è fuori dal giro che conta. Siamo punto e a capo. Nonostante la “rivoluzione renziana” lo scetticismo prevale sulle operazioni di facciata, quelle volute dal Quirinale che nella formazione del governo dell’ex sindaco ha imposto (senza averne titoli) non solo i ministri ma anche la linea politica aderente al volere di mercati e ai poteri forti. Le “riforme strutturali” imposte da questa tecnocrazia significano la morte del lavoro, quella delle imprese, la morte dello stato sociale, la morte dei cittadini. Per salvarci l’unico modo è tornare alla sovranità degli stati nazionali com’eran prima che entrasse in vigore il trattato di Maastricht. Una terza via esiste.


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