Il Green pass era stato pensato già nel 2019, quando la Commissione europea il 19 marzo di quell’anno, ben un anno prima che scoppiasse la cosiddetta pandemia da coronavirus, sviluppò una Road map con tutti gli step da seguire nell’arco temporale 2018/2022, per giungere ad una “coalizione” per la vaccinazione.
In premessa nel documento si legge di “esaminare la fattibilità di sviluppare una vaccinazione comune (e poi) carta/passaporto per cittadini UE (che tenga conto di eventuali diversi programmi di vaccinazione nazionali), che sia compatibile con sistemi informativi di immunizzazione elettronici e riconosciuti per l’uso transfrontaliero, senza duplicare il lavoro a livello nazionale”.
Nel triennio 2019/2021 era previsto uno “studio di fattibilità per lo sviluppo di una comune tessera di vaccinazione UE”. Elaborato negli anni precedenti, poi effettivamente il Parlamento europeo a giugno 2021 ha approvato una norma, n. 953/21, che introduce la certificazione verde Covid-19, benché nella timeline era prevista per il 2022 con una “Proposta della Commissione per una comune tessera di vaccinazione/passaporto per i cittadini dell’UE”. L’Unione europea, cosi come altri stati membri, ha così anticipato di un anno l’introduzione del noto Green pass.
Questa Road map del marzo 2019, (10 pagine ancora online), è un piano di preparazione vaccinale alla pandemia che si presentò poi nel dicembre 19/gennaio 2020 in Cina. Un documento importante su coronavirus e vaccini che fa sorgere spontanea la domanda: Ma come facevano a saperlo, avevano la sfera di cristallo a Bruxelles?
A supporto di questa Road map, sempre a marzo 2019, la Commissione europea pubblica contestualmente un memorandum dal titolo “Contratti quadro per i vaccini contro l’influenza pandemica”, una sorta di domande e risposte sulla futura crisi pandemica. In questo memorandum il passaggio più curioso, quanto inquietante, – scrivevamo nel maggio 2020 – è quello che tratta la questione della reperibilità del patogeno su cui sperimentare il vaccino. “Sarà fornito dall’Oms”.
“Si prevede che i produttori di vaccini disporranno di quantitativi aggiuntivi per i ritardatari (gli stati che non avevano aderito lo scorso anno, ndr), mentre la Commissione europea incoraggerà la Solidarietà degli Stati membri in caso di emergenza sanitaria”.
Quanto tempo ci vuole per produrre il vaccino?, si legge.
“Per la produzione di un vaccino contro la pandemia – è la risposta -, dipende dalla disponibilità di un ceppo virale da pandemia. Questo ceppo di virus sarà fornito dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS)”, ossia dai “laboratori di riferimento”. Qualcosa di terribile a pensarci e che spiega tanti fatti accaduti in questi ultimi due anni.
Quando “i produttori hanno ricevuto questo materiale, il virus deve essere reso adatto al processo di produzione e questo adattamento può richiedere 4-6 settimane a seconda del caratteristiche del ceppo virale. Se l’OMS dichiara una pandemia (effettivamente poi dichiarata a marzo 2020, un anno dopo la stesura del documento Ue, ndr), si può presumere che i produttori avranno già ricevuto il virus necessario”.
Scrive ancora l’Ue: “Il tempo necessario per la produzione del vaccino contro la pandemia è di circa 12-14 settimane. Un elemento critico sarà come si comporta il virus nel processo di produzione e quale rendimento può essere ottenuto. La disponibilità del ceppo virale e la resa ottenuta nel processo di produzione sono i due fattori chiave che influenzano il tempistiche della produzione di vaccini pandemici”.
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