Wanda Ferro vince ed entra in Consiglio, ma la Consulta è cieca

Carlomagno

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Wanda Ferro
Wanda Ferro

A due anni dalle elezioni regionali, Wanda Ferro ha ottenuto giustizia. Deve entrare a far parte del Consiglio regionale della Calabria. Lo ha stabilito la Corte costituzionale accogliendo il ricorso dell’esponente politico. Adesso la parola passa al Tar della Calabria che “celermente”, almeno si spera, dovrà rendere esecutiva la sentenza decidendo chi dovrà far posto alla Ferro, tra Ennio Morrone, di Forza Italia eletto nella circoscrizione Nord e Giuseppe Mangialavori, Casa delle Libertà, eletto nella circoscrizione Centro. Incredibilmente, la Corte, pur avendo rilevato l’illegittimità della legge elettorale, non ha annullato le elezioni e lascia scorrere la legislatura.

La storia – La candidata di Forza Italia uscita sconfitta il 23 novembre 2014 contro l’attuale governatore Mario Oliverio, era stata estromessa in forza della legge elettorale sfornata a settembre 2014 dal consiglio regionale in prorogatio, reso tale dalle dimissioni dell’ex presidente Giuseppe Scopelliti. Quel consiglio a maggioranza centrodestra, in sostanza non poteva fare nè la legge elettorale, men che meno sopprimere una norma costituzionale per eliminare una loro “nemica”, ma tant’è.

In una notte, un manipolo di consiglieri regionali del centrodestra, (molti altri consiglieri erano all’oscuro) con la complicità dell’ufficio di presidenza di allora fece scempio della Costituzione, eliminando la norma costituzionale che regola in tutte le regioni d’Italia l’elezione del presidente eletto e dell’elezione in assemblea del miglior candidato perdente. Figura che rappresenta l’opposizione alla coalizione vincente. 

Un principio sacrosanto, ma quella notte a Palazzo Campanella ci furono “manine esperte” al solo scopo di levare di mezzo la candidata di Forza Italia, probabilmente perché a settembre 2014 avevano fiutato che il leader azzurro, Silvio Berlusconi, sta decidendo che la candidata doveva essere una donna: Wanda Ferro, una politica onesta e preparata. Come dire: “Silvio vuole la donna, ma sappia che noi siamo più furbi…”. e così misero in atto il “golpe”.

Il testo fu approvato dall’aula senza che nessuno sapesse del comma anti Ferro, come hanno ammesso diversi consiglieri di allora. Roba da Procura della Repubblica, ma nessuna inchiesta è stata aperta, nonostante le denunce durissime di Geppino Caputo.

LEGGI COME VENNE MANIPOLATA LA LEGGE ELETTORALE

La parte tecnica – La Consulta nella sentenza decisa il 19 ottobre scorso e depositata martedì 22 novembre in cancelleria ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Calabria 12 settembre 2014, n. 19, recante “Modifica della legge regionale 7 febbraio 2005, n. 1 (Norme per l’elezione del Presidente della Giunta regionale e del Consiglio regionale)”, per la parte in cui elimina il rinvio all’intero art. 5, comma 1, della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1 (Disposizioni concernenti l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l’autonomia statutaria delle Regioni), anziché al solo ultimo periodo del comma 1 di tale articolo”.

Il ruolo (e le sviste) della Consulta – La decisione della Corte sulla riammissione della Ferro arriva dopo il pronunciamento del Tar Calabria che sul ricorso dell’ex presidente della provincia di Catanzaro aveva rimandato tutto alla Consulta perché, in breve, ad essere illegittimo non era soltanto la sottrazione del seggio alla miglior candidata perdente, bensì tutto l’impianto della legge elettorale calabrese. I giudici di piazza del Quirinale, molto burocraticamente hanno valutato a domanda: si sono limitati a bocciare il ricorso della DC, in quanto non aveva partecipato alla competizione.

In verità, se volevano, avrebbero potuto invalidare le elezioni d’ufficio anche valutando il ricorso della Ferro, ma non l’hanno fatto. Mistero. Eppure i faldoni li hanno avuti sotto il naso per mesi. Nel rendere giustizia al leader dell’opposizione, (perché tale è) hanno spulciato centinaia di pagine e, nel leggerle, si presume abbiano sorvolato sulla trave più grande, ossia quella di una legge elettorale illegittima dal primo all’ultimo rigo, se è vero (come è vero) che è stata varata da un consiglio in prorogatio che non poteva legiferare in niente.

Per fare un pratico esempio, è come se in una perquisizione antidroga, le forze dell’ordine procedessero a sequestrare gli stupefacenti trovati, ma non batterebbero ciglio alla vista di un cadavere nella stessa casa perché il loro mandato è solo quello di trovare droga…

Il ruolo dei partiti (e de M5S) –  Ferro, per quel che la riguardava ha impugnato solo la parte della legge che la riguardava. Avesse impugnato tutta la legge, i giudici della Consulta (che a domanda rispondono…) non avrebbero potuto esimersi dall’entrare nel merito mandando a casa il consiglio. Ma se da un lato la DC è stato l’unico partito a proporre ricorso finalizzato a invalidare le elezioni perché svolte con una legge anticostituzionale, dall’altro va registrata la totale inerzia delle altre forze politiche. Chi era davvero interessato non ha mosso un dito; non parliamo di quelli eletti, perché in fondo stare in consiglio per 5 anni gli fa comodo. Poteva tuttavia pensarci il Movimento 5 Stelle a ricorrere per fare invalidare le elezioni. Oggi avrebbero scritto una pagina storica per la Calabria. I grillini avevano un candidato, Cono Cantelmi, ma né lui né i parlamentari pentastellati, che in genere interrogano e ricorrono su tutto, hanno mosso foglia. Resta oscuro il motivo di questo silenzio. 

L’ipocrisia di Oliverio – Il presidente della Regione Calabria, Mario Oliverio, ha sempre espresso pubblica solidarietà a Wanda Ferro per la sua esclusione, ma nei fatti non è stato così. Più dei partiti e dei singoli politici interessati, a dare filo da torcere a Wanda Ferro è stata proprio la Regione Calabria che dal Tar alla Consulta si è costituita contro Ferro schierando un solido (e costoso) cordone legale con il duplice scopo di difendere Oliverio da un eventuale scioglimento anticipato, ma anche di contrastare la leader dell’opposizione e il suo legittimo diritto a rappresentare i calabresi che l’hanno votata. D’altro canto riguardava una questione del Consiglio e non della giunta regionale. Semmai, avrebbe dovuto essere la presidenza di palazzo Campanella a costituirsi.