Omicidio Fortugno, il killer sbagliò bersaglio e uccise la donna DETTAGLI

Il presunto killer fermato dalla Polizia di Reggio Calabria avrebbe avuto intenzione di eliminare il rivale per il predominio di Gallico, ma sbagliò mira

Carlomagno

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audi omicidio fortugno
L’Audi di Chindemi che, secondo la Dda, segue e apposta l’auto con a bordo Demetrio Logiudice e la vittima Fortunata Fortugno

Sarebbe andato a uccidere il rivale per avere il predominio di Gallico e invece il killer ha sbagliato mira freddando l’amante Fortunata Fortugno, ferendo soltanto il vero destinatario dell’agguato mortale, Demetrio Logiudice.

Sarebbe questo il risvolto dell’omicidio della donna nei pressi del torrente Gallico dove la sera del 16 marzo scorso un sicario – secondo la Dda di Reggio Calabria individuato in Paolo Chindemi – avrebbe esploso i colpi di pistola che hanno ucciso la donna e ferito alla spalla Logiudice, uomo ritenuto legato ai clan che si contendono mafiosamente la zona.

Dopo tre mesi e mezzo di indagini complicatissime, gli investigatori della Squadra mobile della Polizia di Stato hanno chiuso il cerchio attorno al ventottenne di Gallico, figlio di Pasquale Chindemi, assassinato a Gallico, in un agguato, il 15 febbraio 2018.

Oltre a Paolo Chindemi, ritenuto l’esecutore materiale del delitto, gli agenti hanno fermato anche Mario Chindemi, 40enne, Santo Pellegrino, di 32 anni e Ettore Corrado Bilardi, 66enne, tutti reggini.

Il provvedimento di fermo d’indiziato di delitto è frutto delle risultanze di un’articolata attività di indagine – coordinata dai sostituti procuratori della Direzione distrettuale antimafia – diretta da Giovanni Bombardieri – Walter Ignazitto e Diego Capece Minutolo e condotta dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria che hanno visionato centinaia di ore di registrazioni dei filmati di videosorveglianza alla ricerca del più piccolo elemento che potesse metterli sulle tracce dell’assassino della donna.

arresto Paolo Chindemi

LA RICOSTRUZIONE DELLA DDA – La sera del 16 marzo , alle ore 22.35 circa, erano giunti al pronto soccorso dell’ospedale cittadino un uomo e una donna attinti da colpi d’arma da fuoco. La donna identificata in Fortunata Fortugno classe 1970, era giunta cadavere, l’uomo invece, identificato in Demetrio Logiudice classe 1965, era ferito alla spalla.

Circa la dinamica dell’azione delittuosa, nel corso dei primi accertamenti svolti dalla Squadra Mobile – sotto le direttive della locale Procura della Repubblica – si apprendeva che la coppia stava seduta sul sedile posteriore del fuoristrada dell’uomo, in una zona isolata prossima al torrente Gallico dell’omonimo quartiere di Reggio Calabria, quando sopraggiungeva, a velocità moderata, un’autovettura dalla quale scendeva un uomo che esplodeva dai due ai quattro colpi di arma da fuoco. Un colpo attingeva mortalmente la donna alla testa e un altro feriva l’uomo alla spalla.

Ancorché gravemente ferito, Logiudice riusciva ugualmente a mettere in moto l’autovettura e ad allontanarsi repentinamente dal luogo dell’agguato mentre il killer esplodeva contro il mezzo altri colpi di arma da fuoco. La corsa disperata verso l’ospedale non riusciva tuttavia a salvare la vita alla donna che giungeva cadavere al pronto soccorso.

Fortunata Fortugno e Demetrio Lo Giudice
Fortunata Fortugno e Demetrio Lo Giudice. Il luogo dell’omicidio sul torrente Gallico

Le informazioni fornite nel corso delle audizioni da Logiudice, sopravvissuto all’agguato ed unico testimone del delitto, non consentivano di individuare l’esecutore materiale dell’omicidio o i mandanti che lo avevano deliberato, né l’ambito criminale in cui esso era maturato che, fin da subito, in ragione delle modalità esecutive tipicamente mafiose e della personalità dell’uomo, vittima dell’agguato, con precedenti di polizia per associazione mafiosa, non poteva non essere riconducibile a contesti di criminalità organizzata.

Prendeva così gradualmente e fondatamente piede l’ipotesi che il vero obiettivo del killer fosse Logiudice, e non il delitto passionale, ipotesi che pure nelle prime battute di indagini si era fatta strada.

Parimenti non risolutive erano risultate le informazioni assunte da altri soggetti che potenzialmente potevano essere in grado di riferire circostanze utili alla ricostruzione dei fatti, con particolare riferimento alla vita privata delle vittime.

I FILMATI CHE INCASTRANO CHINDEMI

Neanche i dati acquisiti dall’analisi dei tabulati del traffico telefonico generato dalle utenze cellulari in uso alla vittime erano utili per far luce sul complicato delitto.

In assenza di elementi tecnici e testimoniali conducenti all’immediata soluzione del caso, veniva posta in essere dagli investigatori della Sezione Reati contro la Persona della Squadra Mobile reggina, un’imponente attività di acquisizione delle immagini riprese da circa settanta impianti di video sorveglianza pubblica e privata presenti nei luoghi prossimi e meno prossimi a quello in cui era stato perpetrato l’efferato delitto.

L’accurata analisi dell’impressionante mole di immagini acquisite nei giorni immediatamente successivi al duplice delitto dagli impianti di video sorveglianza – per un totale di diverse centinaia di ore di filmati passati letteralmente sotto lente dagli inquirenti – e i riscontri ottenuti dai servizi di osservazione e controllo del territorio, consentivano agli investigatori della Sezione Omicidi della Squadra Mobile non solo di ricostruire le fasi dell’incontro delle vittime, ma anche di individuare in un’Audi A3 Sportback, in uso esclusivo a Paolo Chindemi, l’autovettura utilizzata dal killer la sera del 16 marzo u.s. per compiere prima il sopralluogo e subito dopo l’agguato in cui Fortunata Fortugno fu colpita a morte e Demetrio Logiudice fu gravemente ferito.

Più nello specifico, gli esiti della disamina delle immagini estrapolate dai sistemi di videosorveglianza, permettevano di ricostruire – con riferimento ai movimenti dell’autovettura delle vittime e di quella del killer – la fase dell’appuntamento dei due amanti, la fase del sopralluogo, dell’agguato e della fuga dell’attentatore, nonché quella della corsa verso l’ospedale del soggetto ferito a bordo della macchina con la donna esanime.

Fortunata Fortugno
La vittima, Fortunata Fortugno

Molteplici attività tecniche di intercettazione ambientale locale e veicolare disposte dalla Dda di Reggio Calabria consentivano agli investigatori della Squadra Mobile di raccogliere ulteriori e pregnanti elementi che, in combinazione con quelli già acquisiti dagli impianti di video sorveglianza con riferimento al mezzo utilizzato dal killer per compiere l’agguato, andavano a comporre un quadro indiziario grave, preciso e concordante a carico di Paolo Chindemi, quale esecutore materiale dell’efferato delitto.

Nel corso di una conversazione ambientale captata in macchina, gli indagati – fra i quali Paolo Chindemi – facevano riferimento alla circostanza che la donna si stava voltando per guardare indietro quando è stata colpita, al fatto che la stessa sia morta per colpa dell’uomo con cui era in macchina, al quale aveva sostanzialmente fatto da scudo, salvandogli la vita. In un’altra conversazione ambientale, Paolo Chindemi riferiva di aver commesso un omicidio.

L’inchiesta sul duplice fatto di sangue ha portato altresì alla luce l’esistenza di un emergente gruppo mafioso, aderente alla ‘ndrangheta, dedito alla consumazione di delitti contro la persona e il patrimonio composto da Paolo Chindemi, Mario Chindemi, Santo Pellegrino e Ettore Corrado Bilardi, detto “Pietro”.

Le conversazioni captate nel corso delle articolate attività tecniche hanno dimostrato che lo scopo fondamentale della consorteria facente capo ai Chindemi era quello di affermare la propria leadership criminale, conquistando spazi sempre più ampi nel territorio di Gallico, anche con l’uso delle armi, pianificando azioni volte ad assumere il controllo delle attività estorsive in danno di imprenditori e commercianti del luogo e ad eliminare esponenti delle fazioni contrapposte.

Le indagini consentivano di far luce anche su un atto intimidatorio posto in essere dal gruppo Chindemi, lo scorso 23 maggio, mediante l’esplosione di alcuni colpi di fucile contro le serrande di due garage di un condominio di cinque piani a Gallico.

Lo scorso 19 giugno, durante una perlustrazione notturna di alcuni luoghi isolati, utilizzati dai Chindemi come basi logistiche per le attività delittuose del gruppo, gli investigatori della Squadra Mobile rinvenivano e sequestravano una pistola semiautomatica calibro 7.65 mm, marca “J.P. Sauer&SohnSuhl”, modello “1913”, con matricola, completa di caricatore e 10 cartucce marca “G.F.L.” dello stesso calibro; un revolver, con tamburo a 6 camere di cartuccia, calibro 38 SP, privo di marca e matricola, completa di 6 cartucce marca “G.F.L.” dello stesso calibro; quattro casacche (“c.d. fratini o pettorine”) in tessuto di colore blu, riportante su entrambi i lati la dicitura “DIA Direzione Investigativa Antimafia”; un giubbotto antiproiettile, di colore blue, privo di qualsiasi contrassegno identificativo; tre passamontagna tipo “mefisto” e una batteria 12V 7Ah marca “YAMADA” alla quale era applicato, con nastro adesivo isolante, un ricevitore marca “ATECNICA” mod. D Multi 2 CH.

L'uomo ferito nell'agguato a Fortunata Fotugno, Demetrio Lo Giudice. La stradina che costeggia il torrente Gallico
Demetrio Logiudice, ferito nell’agguato. La stradina che costeggia il torrente Gallico

Oltre alla detenzione e porto illegale in luogo pubblico delle armi sequestrate, sono stati contestati, a vario titolo, agli indagati gli stessi delitti anche in relazione ad altre pistole e fucili ai quali facevano riferimento durante le intercettazioni ambientali o che sono stati ripresi dalle telecamere puntate dai poliziotti, con l’autorizzazione della Procura della Repubblica, su alcuni siti adibiti a basi logistiche della consorteria.

Nel corso delle indagini, gli operatori della Squadra Mobile riuscivano anche ad individuare e sequestrare alcuni motoveicoli che gli indagati – costituendo un gruppo di fuoco – avevano rubato per compiere azioni delittuose.

“Milita nel gruppo Chindemi, un pregiudicato di elevato spessore criminale qual è Ettore Corrado Bilardi, già condannato a lunghi anni di reclusione per omicidio, genero del boss storico della ‘ndrangheta di Reggio Calabria don Mico (Domenico) Tripodo, assassinato nel 1977 all’interno del carcere di Poggioreale su mandato dei De Stefano, nonché cognato di Venanzio Tripodo, genero di Sebastiano Romeo, patriarca della storica famiglia di ‘ndrangheta di San Luca, intesa “I Stacchi”.

IL SODALIZIO – Gli appartenenti al gruppo Chindemi – attraverso l’opera di qualificata mediazione di Bilardi – hanno intessuto relazioni con esponenti di affermate cosche della ‘ndrangheta operanti nei mandamenti tirrenico e ionico della provincia di Reggio Calabria.

Il sodalizio criminale, spiegano gli inquirenti, esercita sul territorio di Gallico una concreta capacità di intimidazione riscontrabile dagli atti intimidatori posti in essere dagli associati Paolo Chindemi, Mario Chindemi, Ettore Corrado Bilardi e Santo Pellegrino, nella prospettiva di creare assoggettamento nelle vittime e nell’intera comunità sociale, facendo costante ricorso all’uso delle armi illegalmente detenute (alcune sequestrate nel corso delle indagini) e ad atti intimidatori anche cruenti, per accrescere il prestigio criminale dell’associazione che tende ad accreditarsi come temibile ed effettivo centro di potere criminale da cui promana una diffusa intimidazione, che vuole mantenersi inalterata dopo l’uccisione di Pasquale Chindemi, padre di Paolo.

Conclusivamente Paolo Chindemi risponde di omicidio e tentato omicidio pluriaggravato anche dalle modalità mafiose (uccisione di Fortunata Fortugno e tentato omicidio Demetrio Logiudice) e di detenzione e porto della pistola utilizzata per commetterlo;

Paolo Chindemi, Mario Chindemi, Santo Pellegrino, Ettore Corrado Bilardi detto “Pietro”, sono accusati di associazione mafiosa; detenzione e porto in luogo pubblico di armi da fuoco (pistole, revolver e fucili, clandestini e comuni da sparo) aggravati dalla modalità mafiose; detenzione illegale di segni distintivi e oggetti in uso ai Corpi di Polizia (quattro casacche della DIA e un giubbotto antiproiettile) aggravati dalle modalità mafiose; furto di motocicli aggravato anche dalle modalità mafiose.

Sussistendo la gravità indiaziaria in ordine ai reati sopra indicati e il concreto pericolo che potessero darsi alla fuga, sulla base delle risultanze acquisite nel corso delle indagini, la Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria ha disposto, in via d’urgenza, il fermo degli indagati che è stato eseguito, nel corso della notte, dagli investigatori della Squadra Mobile della Questura di Reggio Calabria.

Dopo le formalità di rito in Questura, i soggetti fermati sono stati condotti presso la casa circondariale di Reggio Calabria a disposizione dell’autorità giudiziaria.