Operazione Ares, arrestata anche una criminologa: “Favoriva la ‘Ndrangheta”

Secondo l’accusa, la professionista aveva l’aspirazione al ruolo di “regina delle carceri”, creando un "sistema criminale" in cui avrebbe coinvolto altri professionisti

Carlomagno

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Carabinieri Gruppo Gioia Tauro
I Carabinieri del Gruppo di Gioia Tauro

Oltre alle donne del clan Cacciola-Grasso, nell’operazione Ares condotta dai carabinieri di Gioia Tauro e coordinata dalla Dda di Reggio Calabria, culminata con 45 arresti, figura anche la criminologa Angela Tibullo, 36 anni, arrestata con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione in atti giudiziari e intralcio alla giustizia, aggravati dalle finalità mafiose.

Secondo l’accusa, il ruolo della donna, in virtù della professione esercitata, sarebbe “risultato determinante nelle dinamiche associative e nel perseguimento degli interessi illeciti di alcune pericolose articolazioni di ‘ndrangheta del “mandamento tirrenico”, con particolare riferimento alle cosche “Crea” di Rizziconi, “Grasso” e “Pesce” di Rosarno, mettendo a disposizione dei propri assistiti detenuti indebiti vantaggi penitenziari, o sotto forma di riconoscimento di un regime cautelare più favorevole (da quello carcerario a quello domiciliare), o sotto forma di altri illeciti benefici, tra i quali iltrasferimento verso un carcere ritenuto più consono”.

In particolare, le indagini avrebbero permesso di accertare come “la professionista, nella piena consapevolezza dell’illiceità del suo agire, si sia prodigata in favore degli affiliati detenuti per farottenere loro la scarcerazione per incompatibilità con il regime carcerario, redigendo false consulenze e corrompendo i periti d’ufficio nominati dall’autorità giudiziaria per valutarne lo stato di salute oi medici impiegati all’interno delle strutture di reclusione”.

A carico della professionista, spiegano gli investigatori, sarebbero stati documentati “numerosi episodi che confermano la consapevole agevolazione delle condotte criminali dei propri assistiti, avendo veicolato all’esterno delle carceri i messaggi dei detenuti e avendo fornito ogni altra forma di ausilio agli associati, tanto da essersi prodigata anche per reperire le abitazioni dove far trascorrere le misure detentive alternative al carcere, o quanto altro necessario all’ottenimento delle autorizzazioni da parte dell’autorità giudiziaria, ai soggetti apicali dei sodalizi richiamati che lamentavano delle incompatibilità putative con il regime carcerario”.

Secondo l’accusa la Tibullo, intercettata, avrebbe confidato l’aspirazione al ruolo di “regina della penitenziaria” e per soddisfare tale ambizione – spiegano gli inquirenti -, avrebbe creato un “sistema criminale, aggregando professionisti, medici o funzionari compiacenti – funzionali ad agevolare il conseguimento degli ingiusti vantaggi per i propri assistiti – o minacciando di escludere da successivi “affari”quelli che dimostravano di non rispettare le sue indicazioni”.