Omicidio Fortugno, arrestato anche Mario Chindemi, zio del killer

Inchiodato dalle impronte lasciate sull'auto di Demetrio Logiudice. Nuova svolta ma lui aveva già fatto ammissioni. Per il crimine era stato arrestato Paolo Chindemi

Carlomagno

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Nuova svolta nelle indagini dell’omicidio di Fortunata Fortugno e del tentato omicidio dell’amante Demetrio Logiudice, consumati nei pressi del torrente Gallico, a Reggio Calabria, il 16 marzo 2018. Gli agenti della Squadra mobile hanno arrestato anche Mario Chindemi, 51enne, zio di Paolo, quest’ultimo finito in manette a luglio 2018 perché ritenuto l’autore materiale del delitto.

Secondo gli investigatori, coordinati dalla Dda reggina, Mario Chindemi, sarebbe stato anche lui sulla scena del crimine. Ad inchiodarlo le sue impronte digitali e palmari lasciate sull’auto delle vittime, una Volkswagen Touareg, di proprietà di Logiudice. L’arrestato aveva già ammesso di essere stato presente insieme al nipote, sulla scena del crimine e di aver partecipato all’agguato.

Mario Chindemi era stato già fermato il 4 luglio 2018 nell’ambito dell’operazione “De Bello Gallico”. Insieme a lui erano finiti in manette con l’accusa di associazione mafiosa Ettore Bilardi, Santo Pellegrino, mentre Paolo Chindemi, nipote di Mario, era stato arrestato con loro per l’agguato mafioso del torrente Gallico.

Nel corso di quell’operazione, la Polizia scientifica, aveva prelevato le impronte (anche palmari) degli indagati, per confrontarle successivamente con un’impronta rinvenuta sullo sportello posteriore destro dell’autovettura di Logiudice, a bordo della quale, sul sedile posteriore, si trovavano le vittime al momento dell’agguato.

La comparazione delle impronte ha consentito di accertare che quella papillare (palmare) rinvenuta sul Touaregin in occasione del crimine del 16 marzo 2018, corrispondeva all’impronta della mano sinistra di Mario Chindemi, sicché dopo interrogatori e riscontri l’uomo ha poi ammesso di essere presente e di aver partecipato all’agguato, ma non è chiaro in quale ruolo.

Il vero bersaglio dei killer era Logiudice, considerato il referente della cosca Tegano il sicario sbagliando mira aveva colpito mortalmente la donna e ferendo soltanto l’obiettivo principale. In un primo momento il movente sembrava ricondurre alla relazione clandestina delle vittime, ma poi dalle indagini è emerso che l’agguato era stato posto in essere per colpire il rivale di mafia nelle attività illecite a Reggio.