Le mani del clan Cordì sull’economia della Locride, nomi e inchiesta

Carlomagno

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I militari dei Comandi provinciali dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, con il supporto dei “Cacciatori Calabria”, del Nucleo elicotteri dell’Arma e della Sezione aerea della Finanza,  hanno eseguito nella notte decreto di fermo emesso dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, diretta da Giovanni Bombardieri, nei confronti di presunti appartenenti al clan di ‘ndrangheta Cordì, attivo nella Locride.

In manette sono finiti Gianfranco Alì, di 37 anni, Cosimo Alì, 62 anni; Vasile Iulian Albatoaei (aliasGiuliano”), romeno nato nel 1986; Guido Brusaferri, di 54 anni; Domenico Cordì, 40enne, Domenico Cordì, 28 anni; Antonio Cordì, 22enne;  Salvatore Dieni, di 48 anni, Emmanuel Micale, classe 1985 e Gerardo Zucco, di 49 anni.

L’esecuzione dell’odierna misura scaturisce dall’unificazione di tre distinte indagini condotte da carabinieri e finanzieri di Locri che, coordinati dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo e dai pm Giovanni Calamita e Diego Capece Minutolo, hanno permesso di ricostruire l’attuale operatività di gruppi criminali facenti capo alla storica cosca Cordì di Locri, ai cui dirigenti e partecipi vengono contestati, a vario titolo, i reati di associazione di tipo mafioso, estorsione, danneggiamento seguito da incendio, illecita concorrenza con minaccia o violenza, violazione delle prescrizioni della sorveglianza speciale,  detenzione e porto in luogo pubblico di armi, con l’aggravante mafiosa, avendo agito al fine di favorire gli interessi della cosca Cordì.

L’associazione mafiosa e le condotte estorsive (Indagine “Riscatto”).

I Carabinieri, in particolare, partendo da alcuni iniziali episodi delittuosi di tipo estorsivo, hanno sviluppato un’articolata attività d’indagine su alcuni sodali, collegati tra loro per diretti vincoli di sangue o da certificati vincoli associativi. Il variegato contesto delittuoso su cui si è poi operato ha permesso di delineare una serie di estorsioni consumate e tentate facendo leva sulla forza intimidatrice che deriva dal riconosciuto blasone del sodalizio d’appartenenza (“Non c’è bisogno che parliamo…c’è bisogno solo che ci vedono…”) al fine di convincere le vittime a “mettersi a posto” e garantire loro “protezione e sicurezza”.

In particolare, le indagini hanno permesso di ricostruire le pretese estorsive rivolte – con il coinvolgimento, a vario titolo, degli indagati Gerardo Zucco, Domenico Cordì (classe ‘79) e Bruno Zucco – in danno di un imprenditore edile, affidatario di alcuni lavori banditi dal Comune di Locri (“lavori di realizzazione di un teatro in regione Moschetta”, per un valore di 600.000 euro, “ristrutturazione dell’edificio scolastico Maresca”, per 210.000 euro, subappalto “valorizzazione di Palazzo Nieddu Del Rio”, per 150.000 euro, nonché la manutenzione idraulica dei valloni che attraversano il territorio comunale, per 48.450 euro), e di appalti privati (lavori per la ristrutturazione della “Casa Bennati” di Locri, commissionati dalla Diocesi di Locri-Gerace), con richieste variabili dai 1.500 ai 18.000 euro in relazione al valore del lavoro.

In un caso, gli estortori hanno tentato di imporre all’imprenditore anche stipula di contratto subappalto a favore di una ditta locrese priva dei requisiti di legge, poiché non inserita nella white list prefettizie.

In un altro caso, sono state compiutamente documentate analoghe condotte criminali poste in essere dall’indagato Emmanuel Micale che, facendo leva sulla sua appartenenza alle note famiglie di ‘ndrangheta dei Cordì e degli Alecce, ha ripetutamente tentato di costringere il titolare di una rivendita di tabacchi a “mettersi a posto” consegnando euro 1.500 al mese al fine di garantirsi “protezione e sicurezza per sè e per il proprio locale”, non riuscendo nell’intento a causa delle difficili condizioni economiche dell’imprenditore, peraltro già sottoposto ad estorsione da parte di Salvatore Dieni.

L’ingerenza nelle attività economiche afferenti al cimitero di Locri.

I militari dell’Arma hanno appurato anche diversi episodi delittuosi verificatisi a Locri, apparentemente estranei a contesti di criminalità organizzata, in realtà ragionevolmente imputabili ad un’unica matrice delittuosa riconducibile a componenti della famiglia ALÌ di Locri che da anni esercitava un’incontrastata egemonia delle attività riconducibili alla gestione dell’area cimiteriale, come le onoranze funebri e la vendita al dettaglio dei fiori proprio nei pressi del locale cimitero.

A seguito del susseguirsi di gravissimi eventi chiaramente collegati agli interessi economici sul cimitero di Locri, le indagini dei Carabinieri hanno infatti permesso di acquisire elementidi porva a carico dei componenti della famiglia Alì (in particolare Gianfranco Alì), i qualihanno acquisito il controllo del settore delle attività cimiteriali locresi, imponendo un regime di fatto monopolistico attraverso gravi azioni intimidatorie e danneggiamenti in danno di ditte concorrenti, privati cittadini e amministratori pubblici.

In particolare, nel periodo compreso tra il 29 maggio 2017 ed il 27 giugno 2019 si sono verificati nel comune di Locri una serie di episodi delittuosi accomunati dal contrapposto interesse economico, nella gestione delle attività cimiteriali, tra tutte le vittime e gli Alì: con una tempistica che non lascia margine di incertezza, coloro che svolgevano attività concorrenziale nei confronti degli Alì o gli amministratori pubblici che avevano adottato atti volti a contrastare o, comunque, ad attenuare quel monopolio hanno subito danneggiamenti e gravi minacce arrivate fino all’incendio dei mezzi di lavoro, al posizionamento di un ordigno dinanzi all’abitazione di un funzionario comunale; da ultimo, quale fatto di particolare rilievo, il Sindaco di Locri, Giovanni Calabrese, è stato minacciato con modalità particolarmente insidiose ed allusive consistite nell’avergli comunicato la prossima scomparsa delle spoglie dei suoi parenti sepolti nel cimitero di Locri (“Giovannoni domani dirò dov’è sepolto qualche tuo parente da tantissimi anni”).

Contesto operativo “Mille e una notte”.

Le parallele indagini svolte dalla Guardia di Finanza – Gruppo di Locri, hanno tratto origine dal grave fenomeno di assenteismo degli impiegati comunali di quella città, segnalato anche dallo stesso sindaco tramite numerose interviste pubblicate sui giornali locali e nazionali.

All’esito delle investigazioni, emergeva come i Cordì, con l’ausilio di una fitta rete di associati ed affiliati, abbiano effettuato continuato ad esercitare il loro controllo criminale su tutto il territorio locrese, tramite gravi forme intimidatorie e vere e proprie perlustrazioni giornaliere, finalizzate a monitorare le diverse attività commerciali ed imprenditoriali insistenti sul territorio di riferimento.

È stato inoltre documentato, grazie all’attività svolta dal Corpo, come la cosca Cordì continui ad esercitare un potere incontrastato nei settori commerciali di maggior interesse, qualile forniture giornaliere di pane, che viene imposto senza possibilità di reso ad ogni singolo esercente del settore, e la gestione delle onoranze funebri.

La attuale pericolosità della cosca è ulteriormente confermata dalla immediata disponibilità di armi e munizioni, così come è emerso dalle attività investigative svolte dalla Finanza, tramite le quali è stato possibile sottoporre a sequestro, abilmente occultati all’interno di due tubi di cemento siti in un fondo pubblico ed avvolti in dei sacchi di plastica, 3 fucili semi-automatici e con canne mozzate, tutti con matricola abrasa, unitamente a cospicuo munizionamento.

All’esito delle operazioni, gli arrestati sono stati condotti presso la casa circondariale di Locri a disposizione dell’autorità giudiziaria distrettuale.