Rinascita Scott, i tentacoli dei Mancuso stritolavano il Vibonese

Carlomagno

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Le indagini che hanno portato al blitz di stamattina contro la ‘ndrangheta, con l’esecuzione di 334 misure cautelari personali e al sequestro di beni per 15 milioni di euro, hanno consentito di ricostruire con completezza gli assetti di tutte le strutture di ‘ndrangheta dell’area vibonese e fornito un’ulteriore conferma dell’unitarietà della ‘ndrangheta, “al cui interno le strutture territoriali (locali o ‘ndrine) godono di un’ampia autonomia operativa, seppur nella comunanza delle regole e nel riconoscimento dell’autorità del Crimine di Polsi”. Lo affermano i magistrati della Dda di Catanzaro.

Le risultanze dell’operazione “Rinascita Scott”, in particolare, avrebbero documentato l’esistenza di strutture “quali società, locali e ‘ndrine, in grado di controllare il territorio di riferimento e di gestirvi capillarmente ogni attività lecita o illecita; lo sviluppo di dialettiche inerenti alle regole associative, nello specifico, sulla legittimità della concessione di doti ad affiliati detenuti e sui connessi adempimenti formali; l’utilizzo di tradizionali ritualità per l’affiliazione e per il conferimento delle doti della società maggiore, attestato dal sequestro di alcuni pizzini riportanti le copiate”.

Documentata anche l’operatività di una struttura provinciale (“il Crimine” della provincia di Vibo Valentia ), una sorta di cupola “con compiti di coordinamento delle articolazioni territoriali e di collegamento con la provincia di Reggio Calabria e il “Crimine” di Polsi, quale vertice assoluto della ‘ndrangheta unitaria”.

A capo della struttura vibonese si sarebbero alternati, negli anni, esponenti della cosca Mancuso, in particolare Giuseppe, Pantaleone e da ultimo Luigi, rispettivamente di 60, 58 e 65 anni. Questa struttura di vertice, annota la Dda, “ha governato gli assetti mafiosi della provincia, riuscendo anche a ricomporre le fibrillazioni registrate negli anni tra le varie consorterie”.