Caporalato a sfondo razziale, africani pagati in meno di indiani e rumeni

Carlomagno

Ai Lettori

Secondo Piano News non riceve finanziamenti pubblici come i grandi e piccoli media mainstream sovvenzionati a pioggia dallo Stato. Pertanto chiediamo ai nostri lettori un contributo libero che può permetterci di continuare a offrire una informazione vera, libera e corretta.

SOSTIENI L'INFORMAZIONE INDIPENDENTE
 
SEGUICI SUI SOCIAL
Per ricevere gli aggiornamenti lascia un like sulla nuova pagina Fb. Iscriviti anche al Gruppo "Un Unico Copione Un'Unica Regia". Seguici pure su TELEGRAM 1 (La Verità Rende Liberi); e TELEGRAM 2  (Dino Granata), come su Twitter "X" SPN nonché su X (Dino Granata)

serre caporalato amanteaAltra operazione contro lo sfruttamento della manodopera immigrata in Calabria. Ad Amantea, nel cosentino, i Carabinieri della Compagnia di Paola, hanno scoperto un presunto giro di caporalato dove migranti di un centro di accoglienza venivano prelevati al mattino e mandati a lavorare nelle serre per l’intero giorno con la beffa finale di essere pagati in meno di indiani e rumeni solo perché avevano la pelle nera.

Ai domiciliari sono finiti due fratelli, Francesco e Giuseppe Arlia Ciommo, di 48 e 41 anni, con l’accusa di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro aggravata dalla discriminazione razziale. L’operazione, denominata “Lavoro sporco”, è scattata all’alba di venerdì su mandato del gip del tribunale di Paola che ha accolto le richieste del pm della locale procura.

I migranti, provenienti per lo più da Nigeria Gambia, Senegal, Guinea Bissau, erano costretti a lavorare a ritmi pesantissimi e per pochi euro al giorno in alcune aziende agricole di Amantea. Decine di persone vivevano in baracche ed in condizioni igieniche disumane.

L’attività investigativa, condotta dai militari di Amantea e coordinata dalla Procura della Repubblica di Paola ed articolata in un lasso temporale di tre mesi, ha permesso di cristallizzare l’impiego, in aziende agricole della fascia tirrenica, di manodopera costituita da lavoratori di varia nazionalità, in prevalenza da extracomunitari richiedenti asilo, allocati presso i locali Centri di Accoglienza.

Approfittando delle loro condizioni di bisogno, a fronte di più di dieci ore lavorative, i presunti responsabili avrebbero promesso ai lavoratori una retribuzione di pochi euro giornalieri, difforme dai contratti collettivi nazionali e territoriali, ed un regolare contratto di assunzione. Peraltro, nella maggior parte dei casi le somme pattuite, quantificate secondo criteri razziali a seconda del colore della pelle, i “lavoratori con la pelle più bianca” avevano diritto ad uno stipendio migliore, non venivano corrisposte.

I braccianti erano costretti a consumare i pasti nei campi, per terra e senza neanche il diritto ad una sedia, e sottoposti quotidianamente a condizioni di lavoro degradanti, come ad esempio una sorveglianza continuativa e pressante durante le ore di lavoro agricolo, i lavoratori erano costantemente minacciati dagli odierni arrestati, i quali, millantando contatti tra le fila delle forze dell’ordine, prospettavano espatri forzati ed il mancato conseguimento di validi titoli per il regolare soggiorno nel territorio nazionale.

La manodopera veniva, altresì, impiegata in violazione della normativa in materia di sicurezza ed igiene sul luogo di lavoro, venendo fornita ai lavoratori unicamente la minima attrezzatura. L’odierna operazione, oltre all’applicazione della misura cautelare di carattere personale, consentiva di sequestrare beni (azienda agricola – i beni mobili registrati – conti correnti intestati alla medesima impresa) per un valore complessivo pari a circa 1.000.000 euro.