I liquami di fogna direttamente nel Crati. Spagnuolo: “Non è finita quì”

Sei persone, in concorso, sversavano ingenti quantitativi di liquidi infettati e nauseabondi nel corso d'acqua senza trattarli, provocando enormi danni ambientali per decine di chilometri fino al delta del fiume

Carlomagno

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inquinamento fiume crati depuratoreSversavano ingenti quantitativi di liquami di fogna infettati e nauseabondi nel Fiume Crati, senza che fossero depurati, provocando seri pericoli per la salute pubblica e enormi danni ambientali al corso d’acqua per decine e decine di chilometri da Rende fino al delta.

Con l’accusa di inquinamento ambientale in concorso, sei dipendenti della società Geko Spa che ha in gestione il depuratore consortile Valle Crati, sito a Coda di Volpe, si sono visti notificare dai carabinieri-forestali del gruppo di Cosenza altrettante misure interdittive emesse dal gip del tribunale bruzio Giuseppe Greco. Si tratta di 4 operai dell’impianto, del loro coordinatore (obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria) e del direttore della struttura, sospeso per 12 mesi dall’esercizio di direzione tecnica. Le generalità non sono state diffuse.

L’inchiesta, in codice Cloaca Maxima, che rievoca la più grande fogna dell’antica Roma, è stata coordinata dalla procura cosentina guidata dal Procuratore capo Mario Spagnuolo e dall’Aggiunto Marisa Manzini.

L’indagine, scaturita nei mesi scorsi da un esposto presentato in procura, è stata condotta mediante intercettazioni telefoniche e videosorveglianza, e ha permesso di accertare che gli indagati, in concorso tra loro, scaricavano illegalmente tonnellate di liquami direttamente nel fiume Crati.

Secondo quanto accertato dagli investigatori del Nipaaf del Nucleo investigativo carabinieri forestali di Cosenza, gli operai – seguendo le direttive impartite, usando due bypass, uno generale in testa all’impianto e uno posto a monte della sezione ossidativa -, sversavano ripetutamente quantitativi di liquami, senza effettuare alcun tipo di trattamento depurativo.

Le intercettazioni 

Lo sversamento ha provocato una compromissione e un deterioramento, significativo e misurabile, delle acque del Fiume Crati e del relativo ecosistema alterandone composizione chimica, fisica e batteriologica nonché l’aspetto e l’odore.

Durante alcuni controlli, lo stesso personale nell’impianto, ha nascosto la modalità illecita della gestione del depuratore, simulando il normale funzionamento della linea depurativa, per poi, una volta terminato il controllo, azionando il sistema illecito, ritornare a scaricare direttamente nel fiume consapevoli che alcune sostanze non fossero in linea con i valori tabellari previsti dalla normativa e falsificando inoltre gli esiti delle analisi inviate alla Provincia di Cosenza.

Il livello di compromissione ambientale è stato confermato dai dati dell’Arpacal che evidenziano come il livello di escherichia coli (batterio killer del colon e principale responsabile di infezioni urinarie, ndr) nel punto di sversamento è superiore di quasi cento volte rispetto a quello misurato più a monte.

Molto alti anche i paramenti relativi all’azoto ammoniacale, tensioattivi anionici Bod e Cod. L’impianto dopo il sequestro è stato affidato ad un custode giudiziario nominato dal Gip, il quale ha ricevuto incarico di gestirlo senza causare alcuna interruzione del sevizio.

Al centro il procuratore Mario Spagnuolo e l'aggiunto Marisa Manzini durante la conferenza stampa sul depuratore Valle Crati
Al centro il procuratore Mario Spagnuolo e l’aggiunto Marisa Manzini durante la conferenza stampa sul depuratore Valle Crati

Spagnuolo: “L’indagine prosegue” 

“Questa – ha detto il Procuratore della Repubblica di Cosenza, Mario Spagnuolo – è la più importante indagine in materia di tutela dell’ambiente mai condotta nel cosentino. L’indagine prosegue – ha aggiunto il Procuratore – al fine d’individuare ulteriori e diverse responsabilità”.

“La materia ambientale riguarda la salute dei cittadini – ha detto ancora Spagnuolo – e non ci stancheremo mai di indagare in tal senso”. Il procuratore non conferma che la procura abbia chiesto provvedimenti più pesanti per gli indagati, rispetto alle misure interdittive concesse dal giudice

“Non siamo dei Torquemada, noi applichiamo la legge e le richieste che sono state fatte sono state comunque accolte dal giudice – ha detto Spagnuolo – che ha comunque impedito a queste persone di continuare delinquere, che è l’obiettivo dell’indagine”.

In sostanza, sarebbe stato l’obiettivo, attraverso l’uso illegale dei bypass l’ente gestore del depuratore creava meno fanghi di risulta, che poi andrebbero smaltiti a costi esosi, con cospicui risparmi per la ditta.

Per la prima volta applicato il 452/bis (reato di inquinamento ambientale)

“Non si voleva depurare – dice Spagnuolo – e questo fa parte di un’altra indagine di cui vi parleremo quando sarà conclusa. I bypass venivano aperti su indicazione del responsabile della struttura – ha detto ancora Spagnuolo – e in effetti l’impianto non depurava, ma inquinava e la filiera della prova è stata ricostruita in termini precisi, attraverso riprese video e intercettazioni. Probabilmente – ha concluso Spagnuolo – per la prima volta in Calabria si contesta il 452/bis, cioè il reato di inquinamento ambientale, con misure e sequestri”.