Corigliano, blitz nel regno di Filippo Solimando. Foto, nomi e video

Carlomagno

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Arrestati operazione Tribunale Corigliano
Da sinistra in alto gli arrestati: Filippo Solimando, Natale Gencarelli, Giovanni Arturi, Luigi Sabino, Giuseppe Sammarro e Giuseppe De Patto. Nella fila in basso da sinistra: Davide Lagano, Vincenzo Sabino, Antonio Palummo e Pasquale Semeraro

Si erano suddivisi il territorio di Corigliano, estendendosi in tutta la Sibaritide, le due bande sgominate oggi dai carabinieri di Cosenza, e avevano il potere di essere Stato e anti-Stato, decidere cioè chi poteva respirare l’aria del luogo piuttosto che camminare in libertà.

E’ uno spaccato inquietante quello che emerge nell’operazione “Tribunale” scattata all’alba nella città dell’alto Ionio cosentino che ha portato all’arresto di 12 persone, due dei quali  irreperibili, e due obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria.

Tribunale perché il gruppo criminale arroccato nel “centro storico”, aveva messo su “un’aula di giustizia” parallela dove processare i “lupi solitari” della banda rivale dello “scalo” , ossia quanti commettevano furti e rapine per conto proprio senza chiedere l’assenso al “re” di Corigliano antica, il quale puniva in modo selvaggio chi sfuggiva al suo controllo.

Un “sistema giudiziario” composto da un “giudice” supremo, Filippo Solimando, che secondo quanto accertato emetteva le “sentenze” punitive contro chi sgarrava: e giù mazzate di malamorte, con calci, pugni, coltellate, martellate e ogni tipo di arnese utile a impartire la lezione per ripristinare il “controllo del territorio”.

Il sistema è stato interrotto dall’inchiesta della Procura di Castrovillari guidata da Eugenio Facciolla, coordinata dal pm Antonino Iannotta, che ha chiesto e ottenuto dal gip presso il tribunale di Castrovillari 14 misure cautelari, tra arresti in carcere e ai domiciliari, e due obblighi di firma. Oltre una ventina gli indagati in tutto.

In cella sono finiti Filippo Solimando, di 49 anni; Natale Gencarelli (48); Giovanni Arturi (39); Luigi Sabino, (41), Giuseppe Sammarro, (50);  Giuseppe De Patto (28) e Davide Lagano, di 26 anni.

Ai domiciliari Vincenzo Sabino (35); Antonio Palummo (37), Pasquale Semeraro (36); Franco La Via e Alfonso Scarcella (questi ultimi due irreperibili).
Obbligo di firma, invece, per Giuseppe Taranto, classe 1977 e Pierluigi Filadoro, classe 1988.

L’accusa a vario titolo è di estorsione, rapina, furto e ricettazione. Per le modalità violentissime in cui sono stati commessi i reati, non è stata tuttavia ravvisata l’associazione mafiosa da parte della Procura distrettuale antimafia di Catanzaro, cui era stata trasmesso il fascicolo per competenza funzionale.

Le indagini, condotte dai militari dell’Aliquota operativa della Compagnia di Corigliano Calabro, traggono origine dall’incendio dell’autovettura di un Carabiniere in forza alla compagnia coriglianese e hanno consentito di fare luce su decine di cruenti fatti avvenuti negli anni 2013 e 2014. Un atto di una gravità inaudita contro un rappresentate dello Stato che stava sviluppando indagini sul conto del “regno incontrastato” (fino a stamane), di Solimando.

Una ritorsione attribuita al trentenne Pierluigi Filadoro, oggi destinatario di una misura più leggera (obbligo di firma), in quanto è stato paradossalmente vittima del “tribunale” presieduto dal capo del centro storico di Corigliano. Non uno stinco di santo. Filadoro è infatti ritenuto elemento di vertice della “banda dello scalo” definito “spregiudicato” e soggetto propenso al crimine.

Più in dettaglio, il quadro delineato si fonda sulle risultanze ottenute dall’attività di intercettazione, dalle testimonianze e dalle denunce delle vittime, che sono state corroborate dai riscontri nell’ambito di numerosi servizi di osservazione e pedinamento compiuti.

L’attività, durata alcuni anni, ha permesso di acclarare come nel centro di Corigliano vi fosse la copresenza di due gruppi criminali contrapposti, quello del “centro storico” e quello dello “scalo”: il primo costituito dai volti storici della criminalità locale e caratterizzato da una “maggiore caratura delinquenziale” rispetto all’altra banda, composta invece da ragazzi di giovane età.

Gli elementi raccolti hanno consentito di dimostrare che il sodalizio del “centro storico” operasse sulla base di un ”programma criminoso volto alla realizzazione di una serie indefinita di delitti contro la persona ed il patrimonio”, evidenziando “una struttura associativa stabile, con una netta e delineata distribuzione dei compiti tra i vari sodali”.

Ne conseguivano sanzioni comminate a diversi componenti della banda dello “scalo”, vittime di violente aggressioni fisiche, anche con armi, nel tentativo di imporre un capillare controllo sul fenomeno dei reati contro il patrimonio. In una intercettazione si legge: “Vai dal tizio e prendigli la mano a martellate, così non lo fa più. Digli che la prossima volta la mano gliela taglio…”.

Segue…