Uccise il padre a fucilate, condannato a 18 anni e 10 mesi

Il parricidio nel novembre 2017 quando Alessandro Manzi ammazzò il padre Mario a fucilate. L'accusa aveva chiesto l'ergastolo. Accolte le tesi difensive

Carlomagno

Ai Lettori

Secondo Piano News non riceve finanziamenti pubblici come i grandi e piccoli media mainstream sovvenzionati a pioggia dallo Stato. Pertanto chiediamo ai nostri lettori un contributo libero che può permetterci di continuare a offrire una informazione vera, libera e corretta.

SOSTIENI L'INFORMAZIONE INDIPENDENTE
 
SEGUICI SUI SOCIAL
Per ricevere gli aggiornamenti lascia un like sulla nuova pagina Fb. Iscriviti anche al Gruppo "Un Unico Copione Un'Unica Regia". Seguici pure su TELEGRAM 1 (La Verità Rende Liberi); e TELEGRAM 2  (Dino Granata), come su Twitter "X" SPN nonché su X (Dino Granata)

tribunale di cosenzaLa Corte di Assise di Cosenza (presidente Lucente, a latere De Vuono) ha condannato a 18 anni e 10 mesi di reclusione Alessandro Manzi, il 27enne rossanese imputato per l’omicidio del padre Mario, avvenuto a fucilate nel novembre dello scorso anno.

La decisione arriva ad esito di una lunga camera di consiglio dopo la requisitoria del pubblico ministero Manera e l’arringa dell’avvocato Ettore Zagarese, difensore del giovane. L’accusa aveva chiesto l’ergastolo. I giudici, grazie alla teoria difensiva, hanno concesso le attenuanti generiche ed esclusa l’aggravante dei futili motivi.

LE DISCUSSIONI FINALI Il Pubblico Ministero, nel corso della sua articolata requisitoria, aveva ritenuto Alessandro Manzi non meritevole della concessione del beneficio delle attenuanti generiche e ne aveva chiesto la condanna alla pena dell’ergastolo.

Di diverso avviso l’avvocato Zagarese che, per contro, durante la sua lunga arringa difensiva protrattasi per circa 4 ore, aveva sostenuto come il giovane fosse invece meritevole di una benevola valutazione in conseguenza sia della condotta processuale serbata sia del fatto che il giovane avesse compiuto il gesto in preda ad un forte stato di disperazione a cui il genitore lo aveva indotto con il perdurare di una condotta abusante ai danni suoi e dei familiari. Una condotta confermata anche dai testimoni ascoltati in udienza e dal consulente di parte dell’imputato la cui relazione sullo stato psicologico era stata acquisita dalla Corte.