Svolta in indagini omicidio a Cosenza, arrestati i presunti killer

Si tratta di Massimiliano D'Elia e Roberto Porcaro ritenuti membri del clan Lanzino-Patitucci. Il primo sarebbe l'autore dell'uccisione di Giuseppe Ruffolo, il secondo il mandante. La vittima non versava i soldi nella "bacinella"

Carlomagno

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La Polizia di Stato, a conclusione di indagini, svolte dalle Squadre mobili di Cosenza e Catanzaro e dal Servizio centrale operativo e coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, nella tarda serata di ieri ha dato esecuzione ad un’ordinanza che dispone la custodia cautelare in carcere a carico di due persone, Roberto Porcaro, cosentino di 35 anni, e Massimiliano D’Elia, 33enne di Carolei, ritenute responsabili di omicidio, aggravato dal metodo e dall’agevolazione dell’associazione mafiosa, e porto illegale di armi.

L’indagine, suffragata dal contributo delle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, ha permesso di ricostruire le dinamiche, maturate in seno al clan mafioso “Lanzino-Patitucci”, che portarono all’omicidio di Giuseppe Ruffolo, allora 33enne, consumato a colpi di arma da fuoco nel settembre del 2011 in via degli Stadi, a Cosenza.

L’agguato a settembre 2011

La dinamica L’agguato è avvenuto la sera del 22 settembre 2011. Giuseppe Ruffolo, titolare di una ditta di trasporti e con precedenti per usura, prima delle 20 si trovava in auto, un’Alfa Giulietta nera, su via degli Stati quando venne affiancato da una moto con a bordo il killer,  casco integrale in testa, che ha colpito l’uomo con diversi colpi di pistola.

Gravemente ferito, l’uomo è sceso dall’auto e venne trasportato in ospedale in condizioni disperate, ma morì subito dopo. Un omicidio di chiaro stampo mafioso. Lo scooter utilizzato dal sicario venne poi ritrovato bruciato a Rovito.

A distanza di otto anni la svolta, con la Squadra mobile che ha arrestato i presunti responsabili Massimo D’Elia, per gli inquirenti l’esecutore materiale, e Roberto Porcaro, quale mandante. Porcaro è ritenuto uno dei massimi esponenti del clan Lanzino-Patitucci.

Il movente dell’omicidio, secondo quanto ricostruito, sarebbe riconducibile all’attività usuraia di Giuseppe Ruffolo, avviata senza il consenso dalla cosca e i cui vertici lamentavano che l’uomo non versava i proventi dello strozzinaggio nella cosiddetta  “bacinella” dell’organizzazione criminale.