Furti di auto con “cavallo di ritorno”, 11 arresti a Cosenza

Blitz dei carabinieri nel villaggio degli zingari, nell'hinteland cosentino e a Messina. Ricettazione, furto ed estorsione i reati contestati

Carlomagno

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È in corso a Cosenza, Montalto Uffugo, Torano Castello e Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), una vasta operazione dei carabinieri del comando provinciale di Cosenza volta a disarticolare un gruppo criminale, operante nel “villaggio degli zingari” di Cosenza, specializzato in attività estorsiva, in gergo detta “cavalli di ritorno”.

Oltre 120 carabinieri stanno dando esecuzione ad un’ordinanza di misure cautelari, emessa dal gip presso il Tribunale di Cosenza, su richiesta della locale Procura della Repubblica, nei confronti di 13 persone indagate, a vario titolo, per i reati in concorso di “ricettazione”, “furto” ed “estorsione”. L’operazione è denominata “Gipsy Village”.

11 le persone arrestate, 2 sono finite in carcere e altre 9 ai domiciliari. Disposti anche un obbligo di dimora e un obbligo di presentazione ai carabinieri.

Le indagini riguardano 12 episodi tra furti e ricettazioni di mezzi (3 furgoni e 9 autovetture), 9 estorsioni consumate per la restituzione dei veicoli e due tentativi di estorsione, fatti consumati da gennaio 2019 a gennaio del corrente anno.

L’operazione rappresenta un seguito delle due inchieste “Scacco al Cavallo”, i cui arresti sono stati eseguiti dai Carabinieri di Cosenza rispettivamente in data 16 novembre 2018 e 4 luglio 2019, nell’ambito delle quali erano già stati arrestati alcuni degli odierni indagati.

L’indagine – avviata dai militari dalla Stazione di Cosenza Principale dal mese di maggio 2019 e coordinata dal procuratore della Repubblica di Cosenza, Mario Spagnuolo, e dal sostituto Antonio Bruno Tridico – è stata condotta a seguito di una seria recrudescenza del fenomeno dei furti di veicoli nell’area urbana di Cosenza, molti dei quali rinvenuti pochi giorni dopo la presentazione della denuncia di furto.

L’attività investigativa, fondata principalmente sull’assunzione a sommarie informazioni delle persone offese a seguito del rinvenimento dei veicoli e protrattasi successivamente con attività di intercettazione telefonica presso le cabine telefoniche pubbliche e istallazioni di telecamere, ha consentito di documentare come il gruppo criminale, composto in gran parte da soggetti di etnia “rom”, attraverso un collaudato modus operandi, riuscisse a contattare i proprietari delle autovetture trafugate, costringendoli alla consegna di somme di denaro per la restituzione del mezzo.

Gli indagati, una volta individuato il proprietario del veicolo rubato, verosimilmente mediante i documenti ritrovati all’interno del mezzo o a volte per l’iniziativa assunta dalla parte offesa, stabilivano il primo contatto nel quale invitavano la vittima a recarsi in via degli Stadi, all’interno del cosiddetto “Villaggio degli Zingari”, completamente controllato dai rom.

Ed è infatti “il villaggio Rom di via degli Stadi” il “teatro” da dove nasce e si sviluppa tale articolata filiera criminale, luogo indicato dal Giudice presso il Tribunale di Cosenza, nell’ordinanza, come “la base logistica per lo svolgimento della predetta attività”, all’interno del quale i vari indagati operano con ruoli fluidi ed interscambiabili, essendo indispensabile la cooperazione di più persone per la commissione dei furti, la custodia dei mezzi trafugati, la gestione dei rapporti con le persone offese, fasi che potevano essere condotte nella assoluta sicurezza della copertura data dalla complicità delle persone residenti.

Le parti offese venivano così agganciate sul luogo del furto o attraverso telefonate effettuate da cabine telefoniche pubbliche, con l’indicazione delle modalità per la restituzione dell’autovettura.

Tra i tanti episodi documentati, vi sono anche casi in cui le stesse vittime dei furti hanno deciso di recarsi direttamente nel quartiere di via degli Stadi, per chiedere a referenti del quartiere di poter recuperare l’autovettura, consci di dover corrispondere una somma di denaro.

Nella gran parte dei casi, si è riscontrato che non occorreva neanche specificare che la restituzione dell’autovettura fosse condizionata alla dazione di una somma di denaro, né tanto meno di esplicitare minacce dirette, atteso che le vittime comprendevano da subito che si trattava di una richiesta estorsiva proveniente da soggetti muniti di sicura caratura criminale, per cui accondiscendevano immediatamente ad avviare una trattativa per definire il prezzo della “tangente”.

Il passaggio successivo consisteva nello svolgimento della trattativa per stabilire l’entità del prezzo da pagare per la restituzione che il più delle volte variava da 850 a 2.000 euro. Quindi – nei casi di estorsione consumata – i malviventi si facevano consegnare il denaro in contante e, solo all’atto della riscossione del provento dell’estorsione,indicavano il luogo di rinvenimento del mezzo, di cui chiaramente avevano la disponibilità materiale.

Solo in limitati casi si è riscontrato, in assenza di una convergenza sulla somma da corrispondere, l’innestarsi di una spirale di minacce ed intimidazioni, sino ad arrivare al perentorio ultimatum alla vittima con la chiara manifestazione della volontà di procedere alla distruzione dell’autovettura.

Nell’ambito dell’indagine, i Carabinieri hanno recuperato e restituito ai proprietari 36 mezzi proventi di furto, procedendo complessivamente a sentire a sommarie informazioni 52 vittime di furto, molte delle quali hanno fornito un quadro dettagliato con descrizioni di fatti e persone lucide, lineari e precise.

Purtroppo per 4 vittime è stato necessario il deferimento in stato di libertà per “favoreggiamento personale”, in quanto, pur a fronte di elementi comprovanti le richieste estorsive ricevute, hanno negato l’accaduto, non fornendo alcuna collaborazione allo sviluppo delle indagini.