Omicidio Chindamo, “killer con un cappellino bianco”. Spunta un testimone

Si arricchisce di particolari l'inchiesta che ha portato all'arresto di Salvatore Ascone. L'operaio della vittima ha visto una persona allontanarsi. Il teste ha notato un'auto nera che faceva da palo. Manomesso altro impianto video

Carlomagno

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A sinistra l’indagato Salvatore Ascone e la vittima Maria Chindamo. In strada gli investigatori fanno portare via l’auto della donna

Spunta un testimone nella vicenda di Maria Chindamo, l’imprenditrice rapita (e poi uccisa) la mattina del 6 maggio all’ingresso della sua tenuta agricola a Limbadi, e i cui sviluppi investigativi hanno portato giovedì all’arresto del 53enne Salvatore Ascone, accusato dagli inquirenti di omicidio in concorso con un suo operaio e con persone al momento ignote, ossia autori e mandanti del crimine.

Il teste, insieme all’operaio romeno dipendente della vittima, avrebbero rivelato dettagli importanti quanto inediti. Il primo particolare svelato dall’operaio romeno della Chindamo, Emilov Sasho Dimitrov, è che quella mattina avrebbe notato una persona che indossava un “cappellino bianco”.

Sarebbe lui l’aggressore di Maria Chindamo che ha agito “con certezza fra le ore le 7.10 e le 7.15 del mattino del 6 maggio 2016”, riporta “Il Vibonese” citando passaggi dall’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip di Vibo Valentia, Giulio De Gregorio, nei confronti di Ascone.

Altro elemento rilevante ed inedito, la presenza di un’auto che si sarebbe dileguata subito dopo il rapimento di Maria Chindamo allontanandosi dal luogo della scomparsa, ovvero il cancello della sua azienda agricola in località Montalto, contrada Carini, di Limbadi. Questa auto avrebbe fatto da “palo” nelle fasi del rapimento della donna.

Più precisamente, Emilov Sasho Dimitrov ha raccontato agli investigatori che alle ore 6.30 del 6 maggio 2016 aveva messo in moto i mezzi agricoli per verificarne la funzionalità in vista del trattamento che doveva essere effettuato sulle piante di kiwi.

Il romeno – scrive ancora Il Vibonese – non aveva avuto così modo di sentire alcun rumore sospetto poiché “coperto” da quelle delle macchine in moto. Lo stesso aggiungeva però di aver tentato di contattare via telefono Maria Chindamo alle ore 7.15 non vedendola arrivare e che la donna aveva l’abitudine di arrivare nella sua proprietà intorno alle ore 7.00.

Non avendo ricevuto risposta, Dimitrov si era portato sulla stradina d’ingresso del terreno, giungendo a notare l’autovettura – una Dacia Duster – di Maria Chindamo dietro il cancello chiuso.

E’ a questo punto che Dimitrov precisa agli inquirenti una circostanza sinora inedita. Giunto infatti “ad avere la prospettiva visiva sul luogo ove si trovava l’autovettura, aveva scorto un uomo con un cappellino bianco nelle vicinanze della macchina di Maria Chindamo il quale – rimarca il gip – appena visto il romeno si dileguava”.

Avvicinatosi all’ingresso ed alla macchina di Maria Chindamo, Dimitrov aveva notato che la stessa era con il motore acceso e sulla carrozzeria erano visibili delle tracce di sangue sulla carrozzeria.

L’operaio decideva così di telefonare a Vincenzo Chindamo, fratello di Maria per segnalare l’assenza della donna e le circostanze anomale riscontrate. Per i magistrati ci si trova dinanzi ad un omicidio non mafioso ma inquadrabile in una “questione privata, da approfondirsi nella sua sfera strettamente personale o in quella della sua attività commerciale”.

Ciò non esclude – si legge ancora sul quotidiano – in ogni caso che l’esecuzione materiale sia “stata compiuta da persone avvezze a tali azioni, come ve ne sono – annota il gip – negli ambienti della criminalità locale”. Si è trattato quindi di una “brutale esecuzione, organizzata – spiega il giudice – con un agguato in piena regola”.

Vi è poi un testimone che ha dichiarato ai carabinieri di aver notato, mentre transitava in auto alle ore 7.10 da Montalto in direzione Rosarno, un fuoristrada che da una stradina laterale si immetteva sul rettilineo e procedeva verso Rosarno, più una macchina “di piccole dimensioni e di colore nero la quale, inizialmente parcheggiata lungo il bordo sinistro della strada, faceva una rapida inversione di marcia allontanandosi da una macchina bianca vicino a cui era parcheggiata, per attraversare l’incrocio ed inserirsi in una stradina interpoderale che costeggia i campi da golf dove andava a sostare”.

Per gli inquirenti e il gip, il movimento dell’auto nera percepito dal testimone “proprio in coincidenza temporale con l’attuazione dell’agguato sfociato nella commissione del delitto di Maria Chindamo conduce a ritenere che l’autovettura nera avesse la funzione di “palo” o di auto-vedetta con la quale vengono solitamente perpetrati gli attentati o viene comunque commessa un’azione delittuosa”.

Per il gip ci si trova in ogni caso dinanzi “ad un agguato in piena regola, pianificato in tutti i suoi dettagli” come dimostra la circostanza che Maria Chindamo non era solita recarsi ogni giorno nella sua azienda agricola e la notizia che proprio quella mattina si sarebbe recata a Limbadi era conosciuta solo da poche persone.

Riporta ancora Il Vivonese che ha visionato l’ordinanza del gip, che l’indagato non avrebbe manomesso solo la telecamera della propria villetta posta dinanzi al cancello dell’azienda agricola di Maria Chindamo, ma anche un impianto di videosorveglianza pubblico posizionato dalla polizia è stato disinstallato.

Salvatore Ascone è quindi accusato non solo di aver manomesso l’impianto di videosorveglianza della propria abitazione di località Montalto, contrada Carini, di Limbadi in modo tale da favorire gli autori del rapimento dell’imprenditrice di Laureana di Borrello caricata con la forza su un’altra auto, ma pure di aver incaricato Emanuele Mancuso – dallo scorso anno passato fra i collaboratori di giustizia – a disinstallare una telecamera pubblica posizionata da tempo al bivio fra Mileto e Rosarno.

Mancuso ha reso dichiarazioni in cui rivela come Ascone fosse ossessionato dalla videosorveglianza. Aveva la “mania” degli impianti video della sua proprietà, e ogni qualvolta si verificava un problema era solito chiamare subito il tecnico.

E’ mistero su quelle ore in cui, secondo l’accusa, avrebbe “sospeso” uno degli occhi elettronici puntato verso l’ingresso della tenuta della Chindamo. In base a questa ricostruzione, l’indagato, insieme al suo operaio romeno, Gheorge Laurentiu Nicolae, anch’egli indagato, conoscerebbe gli autori del rapimento e dell’omicidio, nonché i mandanti dell’efferato delitto.