Duemila euro per lauree e diplomi “falsi” (ma erano buoni per i concorsi). I legami con la massoneria

Dal ruolo dei grembiulini al costo di migliaia di euro a titolo di studio. Il procuratore Camillo Falvo: “Un vero e proprio mercimonio della funzione pubblica che drogava le assunzioni all’interno della scuola”

Carlomagno

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Circa 20-30mila attestati di vario genere, tra cui anche lauree triennali e i 24 Cfu per l’insegnamento, venduti per circa 2mila euro. Un intreccio tra società, massoneria e dirigenti dell’Ufficio scolastico regionale della Calabria che ha portato a falsificare, inevitabilmente, anche i concorsi pubblici. È questo il risultato dell’indagine dei carabinieri di Vibo Valentia, guidati dal sostituto procuratore Ciro Lotoro, che ha portato questa mattina all’arresto di 10 persone per un totale di 23 indagati.

L’indagine, in codice “Diacono”, una delle figure di vertice in ambito massonico. Quello che è stato scoperto, ha sintetizzato il procuratore Camillo Falvo in conferenza stampa, è un sistema “drogato” che “drogava le assunzioni all’interno della scuola”: “Un vero e proprio mercimonio della funzione pubblica – ha spiegato Falvo – con la vendita di migliaia e migliaia di attestati, diplomi e master che, immessi nel circuito legale, hanno condizionato anche i concorsi pubblici per l’assunzione di personale”.

Il disturbatore di frequenze per evitare le intercettazioni.
L’indagine è partita quando i carabinieri, a luglio 2020, hanno trovato un arsenale all’interno dell’Accademia Fidia di Stefanaconi, al centro della rete di istituti formativi (paritari e artistici/musicali) che si sarebbe occupata delle false attestazioni. In quella occasione, in cui finì agli arresti una coppia, oltre all’arsenale di armi fu ritrovata anche una Bibbia antica risalente al 1651, oltre a simboli e materiale della massoneria.

Oltre alle armi, la Bibbia e i simboli massonici, a luglio 2020 erano stati trovati anche circa 202mila euro che – poiché tutti in contanti – “sembravano di provenienza illecita”. Da lì è partita l’indagine basata soprattutto sulle intercettazioni ambientali, visto che gli “indagati erano molto attenti a non parlare per telefono”. Basti pensare che “sotto ogni scrivania dei dirigenti dell’Accademia Fidia – ha detto ancora il procuratore Camillo Falvo – c’era un disturbatore di frequenze per evitare le intercettazioni”. Che, però, non ha funzionato. Permettendo quindi di ottenere un enorme numero di informazioni grazie al fatto che gli indagati pensavano di poter parlare liberamente.

Il costo? 2mila euro a certificazione
Si tratta di “persone senza scrupolo” che si sarebbero messe a vendere certificazioni “come fossero caramelle”. “Mi ha colpito un’intercettazione – continua Falvo – in cui due indagati dicono ‘tanto a noi cosa costa, una risma di carta’“, perché “500 fogli erano 500 attestati”. Tra questi anche lauree triennali “con corsi mai frequentati, non parliamo di esami agevolati”.

Ogni attestato sarebbe costato circa 2mila euro – ma il prezzo aumentava in prossimità dei concorsi – e, in un’intercettazione, gli indagati hanno ricostruito che dal 2014 ne avrebbero venduti circa 20-30mila.

“E non millantavano soltanto – spiega Falvo – perché i soldi c’erano veramente”. Solo oggi, infatti, sono stati trovati 700mila euro (di cui 500mila circa in contanti e gli altri in titoli). Il pagamento avveniva nei modi più disparati, da 2mila euro nascosti in una bottiglia di rum alla consegna di un cellulare, di 800 euro, nascosto in un cestino della spazzatura. Tra i proventi illeciti c’era anche un programma particolare, ovvero far assumere delle persone e poi chiedere 5mila euro all’anno: “Io ti do la certificazione falsa, tu vieni assunto – ricostruisce il procuratore Falvo – però poi mi dai 5mila euro ogni anno”.

La massoneria e il ministro dell’Istruzione.
Gli investigatori hanno inoltre ricostruito tutta una rete di contatti che gli indagati avrebbero avuto grazie all’appartenenza a logge massoniche. Tanto che in una delle perquisizioni di questa mattina sono stati trovati vari oggetti quali la mantella, i guanti e quant’altro. Lo stesso legame tra Davide Licata e Maurizio Piscitelli “nasce da un legame massonico – ha detto il procuratore Falvo – attraverso il quale abbiamo documentato, ma non abbiamo ancora finito gli accertamenti, si cercava di avvicinare personaggi politici anche di spicco”. Tra questi “un’allora ministra in carica e un altro soggetto che poi è diventato ministro successivamente”. I politici non c’entrano nulla con l’indagine, evidenzia il procuratore di Vibo, ma questi elementi aiutano “a far capire qual era il modus operandi”.

La posizione del capo dell’Usr Maria Rita Calvosa.
Le vicende accennate in conferenza stampa sono diverse. Da “Davide Licata che doveva farsi fare una falsa certificazione medica, per non andare a lavoro, e contatta un sanitario che a sua volta gli chiede un diploma falso per il figlio”. Passando per il ruolo di Maurizio Piscitelli, ex ispettore dell’Atp di Vibo, a casa del quale questa mattina “sono stati trovati 160mila euro in contanti all’interno di una sedia”. Inoltre “300-500 diplomi venivano ceduti alla società del figlio dell’ispettore, così che si potessero rivendere”. Fino ad arrivare alla posizione di Maria Rita Calvosa, a capo dell’Ufficio scolastico regionale della Calabria, che non aveva alcun ruolo in questo giro di certificazioni false ma – questa l’accusa degli inquirenti – si sarebbe attivata per far avere una “spinta” a Giovanni Carbone: “Ci doveva essere uno scambio di favori – ha detto Falvo – lei voleva trasferirsi a Roma e Carbone aveva necessità di una spinta, un aiuto, per vincere un concorso pubblico”.

Chi ha comprato un attestato falso “meglio che confessi”.
Una vera “società a delinquere” che ha portato anche al sequestro di 19 società che venivano utilizzate “proprio per rilasciare queste false certificazioni”. Adesso le indagini proseguiranno perché “bisogna cercare di capire quante sono effettivamente le certificazioni false e quante persone hanno vinto concorsi tramite questi documenti”. Da qui l’appello finale: “Chi ha ricevuto queste attestazioni false ha commesso un reato, ha concorso nella realizzazione del fatto”, quindi “sicuramente gli conviene venire a confessare”.