Ultimo discorso di Napolitano: «Ho tenuto a bada i sentimenti. Anche negativi»

Carlomagno

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Ultimo discorso di Napolitano
Giorgio Napolitano si prepara al discorso di fine anno. Con lui, da sinistra: il figlio Giulio Napoiltano; Viviane Schmit, segretaria personale; Carla Simoncelli, vedova di Riccardo Napolitano, fratello del capo dello Stato; Carlo Guelfi, consigliere e capo della segreteria del presidente (foto di Marco Delogu) da Corriere della Sera

Marzio Breda per il Corriere della Sera

«Sì, ho tenuto a bada i sentimenti. Me lo sono imposto. Soprattutto per i sentimenti negativi che pure avrebbero potuto esserci, in un bilancio come quello destinato a concludere i miei quasi nove anni al Quirinale. Ma non mi è parso assolutamente il caso di avere simili cedimenti…».

È così che Giorgio Napolitano risponde a chi gli chiede come sia riuscito a tenere sempre la sua analisi su un piano anti-emotivo, nel momento del congedo davanti agli italiani. Con un autocontrollo che ha escluso lampi di commozione e spunti polemici, magari obliqui.

E qui viene in mente un paragone con l’ultimo messaggio di un suo predecessore, Francesco Cossiga, che nella notte di San Silvestro del 1991 sbalordì il Paese condensando il proprio messaggio in un’allusione bisbetica e spiazzante. Aperta e chiusa in pochissime parole: «Il dovere della prudenza sembra consigliare di non dire quello che, in quanto a dovere di sincerità, si dovrebbe dire… Auguri a tutti».

Allora il picconatore fu arci-laconico, ma aveva già parlato moltissimo, nel biennio precedente, e ciò che aveva voluto lasciare sottinteso («per carità di patria», avrebbe spiegato poi) pesò comunque molto sulla politica e fece discutere. Ciò che non succederà con Napolitano, proverbialmente geloso della sua sfera privata.

Il «non detto» del saluto rivolto l’altra sera agli italiani resterà quindi tra i suoi pensieri più intimi, per quanto intuibili, dopo aver subìto anche lui dosi concentrate di attacchi e veleni da coloro che – e questa è adesso la sua unica consolazione – «presto dovranno trovarsi un altro bersaglio».

L’unico risvolto personale su cui ha alzato il velo è stato il cenno al declino fisico, inevitabile per uno che ha quasi novant’anni. Cioè la confessione dei «segni di affaticamento» e delle «incognite che essi racchiudono» e che ormai non può più permettersi di «sottovalutare», perché è la stessa Carta costituzionale a indicarglielo come limite. Si dimetterà per questo, con ogni probabilità il 14 gennaio, in maniera che le Camere comincino a votare per il successore entro la fine del mese.

Una scelta che, assicura, non sarà destinata a tradursi in «alcun tipo di condizionamento, per governo e Parlamento». Sottolineatura non casuale, questa, dato che qualcuno, dopo averlo pressato in sede politica e sui giornali affinché se ne andasse in fretta, è arrivato poi ad accusarlo di «abbandonare un Paese nei guai».

Invece non è così, riflette ora il presidente, confermando quello che considera il punto chiave del suo addio dell’altro ieri in diretta tv. «Un memorandum indirizzato a politici, uomini delle istituzioni, gente comune e, certo, pure a chi tra poche settimane salirà al Quirinale».

Lascia con la convinzione che l’Italia abbia fatto «tanti passi avanti», dal 2006 a oggi. E che siano stati evitati in particolare i rischi d’instabilità divenuti più acuti nei due-tre anni che abbiamo alle spalle, con intermittenti minacce alla durata della legislatura. Ma quest’Italia ha ovviamente una «missione nazionale» della quale vorrebbe che si sentissero investiti tutti, ritrovando «le fonti della coesione» con lo stesso «spirito di sacrificio, consapevolezza e capacità di mobilitarsi» dimostrato dagli italiani nel primo dopoguerra.

Una missione da combattere su diversi fronti ancora duramente critici e che richiede un impegno collettivo: le riforme istituzionali, la lotta alla corruzione, la ripresa economica, la disoccupazione di giovani e meno giovani, l’ancoraggio all’Europa e alla moneta unica, la deriva dell’antipolitica. E, con precedenza su tutto, l’elezione del suo successore, imminente banco di prova della «maturità» e della «responsabilità» dei partiti.

Così, è fatale interpretare l’inventario di problemi elencati da Napolitano davanti alle telecamere esattamente per quello che lui voleva fosse: «L’inizio di un passaggio di consegne, per far sapere al dodicesimo capo dello Stato ciò che dovrà affrontare». La sintesi del quadro d’insieme, come l’ha visto formarsi con un’esperienza che ha «il dovere di trasmettere», gliela disegnerà dopo la cerimonia d’insediamento. Avverrà in un colloquio a tu per tu, durante il quale il presidente uscente terrà «la massima misura di quanto c’è da dire», sapendo perfettamente di non avere «alcun titolo per indicare a chi deve prendere quel posto che cosa dovrà fare».

E uno dei problemi più gravi e urgenti lo ha riassunto nell’affondo sulla questione morale affiorata con enorme clamore a Roma (e non solo), alla quale ha dedicato espressioni assai aspre. Uno scandalo echeggiato con grande riverbero a livello nazionale e internazionale e di cui lo hanno colpito i meccanismi pervasivi illustrati dal procuratore Giuseppe Pignatone in una recente intervista al Sole 24 Ore .

Da lì, dall’intrico di complicità ramificate fino alla sfera politica e alle istituzioni, ha preso a prestito la metafora del «mondo di sotto e mondo di sopra». Da lì l’immagine del «marciume da bonificare», con il massimo sforzo di tutti. Altrimenti le persone oneste potrebbero confermarsi nell’idea che la corruzione sia una patologia congenita dell’Italia e, in quanto tale, un’inevitabile e tragica costante destinata sempre a riemergere.

Ecco perché, «dopo aver sentito raccontare infinite volte dalle televisioni le gesta di Carminati, del quale si è oramai ben capito chi sia, mentre non si faceva quasi cenno delle straordinarie scommesse vinte da altre persone perbene», ha deciso di fare un elenco di esempi positivi. A partire dalle storie della scienziata Fabiola Gianotti, dell’astronauta Samantha Cristoforetti, del medico di Emergency accorso in Sierra Leone per curare le vittime del virus Ebola e pure lui contagiato, dell’ufficiale medico della Marina militare che la notte di Natale ha aiutato una profuga nigeriana a dare alla luce la sua bimba. Un modo per dire che queste sono le nostre «risorse umane» che meritano di stare sulla scena, «senza lasciare spazio agli italiani indegni».