
PALERMO – Il gip di Palermo Lorenzo Iannelli, accogliendo la richiesta della Procura, ha disposto la misura della custodia cautelare in carcere per Carlo Gregoli e Adele Velardo, i coniugi palermitani accusati dell’omicidio di Vincenzo Bontà e Giuseppe Vela, assassinati giovedì in via Falsomiele a colpi di calibro 9.
L’inchiesta, coordinata dal procuratore Francesco Lo Voi e dal pm Claudio Camilleri, ha accertato, grazie alle immagini di una fotocamera e alle rivelazioni di un testimone oculare, che a fare fuoco sulle due vittime sono stati i due coniugi.
La coppia, insospettabile, con una passione per le armi, è stata fermata la notte di venerdì. I pm hanno chiesto al gip la convalida del fermo che non è stata concessa, mentre per il giudice sussistono a carico dei due i gravi indizi di colpevolezza e quindi la necessità del carcere.
E’ ancora oscuro il movente dell’omicidio. Durante l’udienza di convalida entrambi gli indagati si sono avvalsi della facoltà di non rispondere.
La coppia sospettata di aver commesso il duplice omicidio a Falsomiele era stata fermata e condotta in carcere giovedi notte. La pista mafiosa non c’entra nulla. Secondo quanto emerso, Vincenzo Bontà e Giuseppe Vela sarebbero stati uccisi per una questione legata a confini di terreni. Quindi questioni prettamente private. Della dinamica non si è appreso ancora nulla perché non è stata resa alcuna confessione ma gli indizi a loro carico sarebbero “tanti”.
Scartata l’ipotesi mafiosa, i sospetti degli inquirenti sono da subito caduti su Carlo Gregoli, 52 anni, geometra del Comune addetto ai servizi cimiteriali, e la moglie Adele Velardo, 45 anni, casalinga. I due fino a tarda sera sono stati interrogati. Poi nella notte il fermo. Secondo gli inquirenti della Squadra mobile, diretta da Rodolfo Ruperti, i due avrebbero ucciso Bontà e Vela per questioni di “sconfinamento” su un terreno di proprietà della coppia che abitava a Falsomiele, vicino a Vincenzo Bontà.
“Non siamo stati noi, state facendo un errore”, hanno ripetuto per tutto l’interrogatorio. Ma secondo gli inquirenti, vi sarebbero “prove schiaccianti” contro marito e moglie. A inchiodare la coppia sarebbero stati la testimonianza di un automobilista di passaggio e una telecamera di sorveglianza che ha ripreso il Suv Toyota di Gregoli e Velardo.
Giovedì mattina, appena sparsa la notizia dell’agguato si era subito pensato ad un duplice omicidio di stampo mafioso, per via del legame di parentela di Vincenzo Bontà con i boss Bontate. Bontà, che era incensurato, aveva sposato Daniela Bontate, figlia di Giovanni, ucciso con la moglie nell’88. Il suocero della vittima era fratello di Stefano Bontate, altro pezzo da novanta di Cosa nostra negli anni della guerra di mafia a Palermo.
In realtà, Vincenzo Bontà di criminalità e mafia non ne ha mai voluto sapere nulla, nonostante quella parentela “border line” che a caldo aveva fatto sospettare gli inquirenti della pista di mafia. Del resto, anche gli amici raccontano di una persona perbene, appassionato di caccia e amante degli animali. Giuseppe Vela era un giardiniere che in quel momento si trovava con Bontà. Erano entrambi lavoratori e incensurati.
Dopo la firma del provvedimento di fermo della Procura, la coppia è stata trasferita in carcere alle prime luci dell’alba. L’inchiesta è coordinata dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci e dai pubblici ministeri Claudio Camilleri e Sergio Demontis, i quali hanno interrogato i due fino alle tre del mattino. Adesso si attende la convalida in base alle risultanze investigative.