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Scuole chiuse, lo sfogo di una Maestra che parla degli effetti sui bambini: “Avranno paura di vivere”

Una maestra di scuola primaria scrive a Luogocomune.net del giornalista Massimo Mazzucco invitando a riflettere sulle conseguenze della chiusura prolungata delle scuole: “Non c’è stata una riflessione sulla didattica a distanza, giustificata in un tempo limitato ma non per mesi o anni”. Dubbi sull’uso delle mascherine in classe. E sul distanziamento tra i bambini dice: “Loro si assembrano in modo innato, fortuna loro”. Ma con queste restrizioni i bimbi percepiscono solo panico. Avranno “paura del contagio, paura del contatto, paura del respiro, paura della contaminazione, paura della vicinanza. PAURA DI VIVERE”.

 

Mi chiamo Marika Adianto, ho 45 anni, sono mamma di una bambina di 10 anni e sono un’insegnante di scuola primaria a Genova. Scrivo dopo lunghe riflessioni e gran frustrazione con la necessità di dare voce alla mia categoria o ad una parte della mia categoria (non ho la presunzione di rappresentare tutti gli insegnanti), ma soprattutto ai bambini.

Vorrei sottoporre a chi legge una serie di riflessioni che sento la necessità assoluta di condividere.

Anche in questa occasione, a mio avviso, alla scuola non è stata prestata la dovuta attenzione da parte delle istituzioni. Si è scelto di chiuderla, sono stati stanziati alcuni milioni di euro per la DAD [didattica a distanza], ma non c’ è stata una riflessione, non c’è stato un pensiero-guida volto ad una ripartenza a settembre in una condizione di benessere. Il benessere delle bambine e dei bambini e di chi si occupa di loro.

L’occasione ghiotta che ci ha offerto questa situazione è la possibilità di ripensare e rivalutare il nostro micromondo della scuola.

La riflessione iniziale sarebbe dovuta essere: quale scuola e, di conseguenza, quale società vogliamo costruire o ricostruire per settembre? Cosa vogliamo trasmettere ai nostri bambini e ragazzi? Su quali principi e basi vogliamo riaccogliere, riaprire, incontrare nuovamente i nostri giovani?

Ciò che emerge è che si voglia seguire non il tanto nominato principio di prudenza, ma, purtroppo il principio di PAURA.

Ciò che noi adulti saremo in grado di lasciare a questa generazione in dono sarà la PAURA.

Paura del contagio, paura del contatto, paura del respiro, paura della contaminazione, paura della vicinanza. PAURA DI VIVERE.

Ho quindi deciso di scrivere, per la mia coscienza, per il mio intelletto, per la mia dignità e per l’amore e la passione che ho per il mio lavoro che IO NON SONO D’ACCORDO e non voglio solo condividere il mio sdegno, ma sento la necessità di fare proposte. Di essere costruttiva.

Chi pensa al piano-scuola per il rientro, ancora una volta, sembra non aver mai avuto a che fare con un bambino.

I bambini non conoscono o non dovrebbero conoscere il distanziamento sociale, termine che in realtà mi rifiuto di usare perché implica una lontananza non solo fisica, ma umana dagli altri. Distanza che a priori mi risulta inaccettabile.

I bambini si assembrano.

Assembramento. Altro termine che evoca periodi terribili della nostra storia di italiani, di esseri umani.

I bambini si assembrano, per fortuna lo fanno. In maniera innata si avvicinano, ricercano contatto, abbracciano, ricercano conforto, si scambiano oggetti, giochi e si parlano a distanza ravvicinata.

Si riesce a immaginare una scuola, un mondo, in cui tutto ciò non accada? Si riesce ad accettare un mondo in cui tutto ciò non accada anche per un “breve” periodo di tempo?

IO NON CI RIESCO.

Chi lavora con i bambini sa che IL RISCHIO ZERO NON ESISTE. Chi lavora con i bambini sa che il rapporto maestra-bambino si crea attraverso i gesti: un abbraccio, una carezza sulla testa, una mano piccola in una mano grande. Gesti che accompagnano : aiutare ad impugnare la matita, la forchetta, allacciare una scarpa, soffiare un naso (sì , ADDIRITTURA soffiare un naso). A scuola TUTTO è condivisione e vicinanza, la scuola è questo: stare seduti vicini in biblioteca mentre la maestra legge un albo illustrato, stare vicini a merenda per confidarsi un segreto, fare musica insieme in cerchio, condividere un progetto di arte, mangiare a mensa insieme, scambiarsi le penne e le macchinine.

In una intervista di ieri, la ministra rilascia alcune dichiarazioni che paiono l’anteprima di quelle che saranno le disposizioni per settembre e parla di dividere le classi, una metà a casa e una metà a scuola, di far ruotare i gruppi e di permettere ai bambini di seguire le lezioni attraverso una TELECAMERA posizionata in classe.

Provo a spiegare perché, secondo me, tutto ciò non ha senso: prendiamo il caso di una classe di 24 bambini/ ragazzi. Invece di lasciarne a casa metà si potrebbe pensare di creare due classi di 12 e consentire a tutti di andare a scuola.

Perché quello che conta in ambito educativo/pedagogico/didattico è la PRESENZA FISICA. Non lo dico io, lo dicono i fatti e la DAD ce lo sta dimostrando: non funziona (ma ci tornerò tra poco). Inoltre: si riesce ad immaginare la frustrazione e il disagio del gruppo di bambini a casa? Con chi staranno se i genitori devono lavorare e i nonni sono una categoria a rischio?
Si ritiene che il collegamento con la telecamera consenta la socialità DAVVERO??? O li renda semplicemente spettatori della vita altrui?

E ancora: la telecamera è una forma di controllo. Cosa si deve controllare? Che gli insegnanti mantengano le distanze? Che non ci si sfiori? Che il protocollo di sicurezza sia rispettato? E’ davvero questa la società che vogliamo? Davvero vogliamo essere sorvegliati e sorvegliarci osservando per ore uno schermo?

Davvero vogliamo che i nostri bambini stiano seduti tutto il tempo scuola lontani dagli altri, divisi magari da uno schermo di plexiglass, con la mascherina sulla faccia per quattro, sei ore al giorno?

Questo è il ricordo della loro infanzia o adolescenza che vogliamo lasciare loro?

Vogliamo seriamente riflettere sulle DIFFICOLTÀ DI RESPIRAZIONE E COMUNICAZIONE CHE IMPLICA L’USO DELLA MASCHERINA? Perché qui non si tratterebbe di fare la spesa per venti minuti al supermercato, qui, se dovesse essere imposto l’obbligo della mascherina a scuola, si parla di ore, di ORE con la mascherina davanti al naso e alla bocca. E non ci sono ancora studi che ci possano dire davvero se questo oggetto non sia invece più dannoso che utile. QUALCUNO CI HA PENSATO? Io sì. Molti di noi insegnanti lo hanno fatto e si interrogano.

E poi: che incidenza può avere sulla salute fisica e psichica dei bambini il lasciarli ore a casa davanti ad uno schermo “in collegamento” con i compagni a scuola? C’è stata o c’è una riflessione a riguardo? Quanto potrà incidere questa scelta sulla vita dei nostri bambini? Molto, a mio modesto avviso, e non in senso positivo.

Da anni si parla dei problemi di attenzione e di iperattività chiamando in causa la sovraesposizione allo schermo e la sedentarietà… e cosa si propone per la scuola del futuro? Che stiano a casa seduti davanti allo schermo oppure a scuola seduti. DISTANTI, mi raccomando.

Mi chiedo: saremo noi insegnanti i responsabili se non dovesse essere mantenuta questa distanza? Saremo noi a dover diventare i VIGILI dei nostri alunni? E’ questo che ci verrà chiesto? Di tenerli lontani da noi e tra loro? E’ DAVVERO QUESTA LA SCUOLA CHE VOGLIAMO, LA SOCIETA’ CHE VOGLIAMO? Io non credo di farcela.

Le nostre scuole hanno, spesso, molte aule. Le nostre scuole hanno, in molti casi, giardini o spazi all’aperto che non possono essere utilizzati perché inagibili, in abbandono, senza manutenzione.

Assumendo i tanti precari che lavorano nella scuola si potrebbero creare classi meno numerose.

Stanziando denaro per l’edilizia scolastica si potrebbero riqualificare ambienti e spazi esterni.

Il denaro investito nella scuola, a mio avviso, non andrebbe utilizzato esclusivamente per la tecnologia, ma anche e oso dire, soprattutto, per la ristrutturazione. E non solo. Per ripensare gli spazi.

E si torna sempre alla necessità di ripensare. Riflettere. Rimettere la pedagogia al centro dei nostri pensieri insieme all’educazione civica, alla formazione del cittadino.

Inoltre: vogliamo seriamente pensare ai bambini con bisogni educativi speciali, ai bambini con piano educativo individualizzato? Sono stati i più penalizzati tra tutti i bambini. Possiamo pensare di tenerli lontani fisicamente dagli insegnanti di sostegno (e da tutti gli insegnanti)? Possiamo pensare di mettere loro la mascherina e di fargliela tenere per ore? Possiamo pensare di metterli seduti in cucina e farli assistere alle lezioni a distanza per farli “socializzare”?

E qui si inserisce il discorso sulla DAD, che sta penalizzando soprattutto loro, i bambini in difficoltà.

A differenza della scuola vera, quella dove ci si assembra, la DAD non consente un intervento significativo e di qualità da parte degli insegnanti a livello educativo,pedagogico e didattico. Non saprei dirlo meglio di così: NON SI RIESCE DAVVERO AD ARRIVARE AI BAMBINI E ALLE BAMBINE. Perché?

SEMPLICEMENTE PERCHE’ NON E’ REALE. Ci ha aiutato a mantenere un minimo di contatto, ci ha permesso di vederli in questi mesi. Ma non è sufficiente. Perché questa modalità di relazione NON E’ REALE.

La DAD può essere sopportata da tutti per un breve periodo di emergenza.

MA non è accettabile nella normalità.

Perché immagino e spero che alla normalità si voglia tornare.

Le scelte che si faranno incideranno sulla vita di milioni di persone, lo faranno in maniera significativa, segneranno una generazione. Non si può non riflettere su tutto ciò, con umiltà. Perché quello che, dal mio punto di vista, manca, è l’ascolto di chi la scuola la vive ogni giorno, da anni. Io sono solo diciotto anni che insegno, ma quotidianamente imparo da colleghe che da quaranta anni aiutano i bambini a crescere. Possibile che non si pensi di dar loro voce? Chi è più esperto di chi con i bambini trascorre in media cinque ore al giorno? NESSUNO.

Quello di cui abbiamo bisogno è di essere ascoltati. Perché siamo noi gli esperti. Siamo noi la task force gratuita della quale avvalersi per ripartire umanamente a settembre.

PER FAVORE, ASCOLTATECI!

Grazie, Marika Adianto.

Fonte: Luogomune.net

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