19 Aprile 2024

Sparite le risorse per Politiche sociali. Censis: "Da 1,6 miliardi a 297 milioni"

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Censis: Poliche sociali, prosciugato il fondo per Politiche sociali - in foto anziani e disabili  ROMA – Le risorse pubbliche assegnate per le Politiche sociali sono fortemente in diminuzione, quasi sparite, volatilizzate ovvero dallo Stato trasferite dal comparto della Politiche sociali ad altre esigenze.

E se la “spesa pubblica è in picchiata e squilibrata” sul territorio, a essere protagoniste nel welfare locale sono le cooperative che di fatto sostituiscono nei servizi lo Stato.

Rivela il Censis nell’incontro “Un mese di sociale” che le risorse assegnate al Fondo per le Politiche sociali sono passate da 1,6 miliardi di euro nel 2007 a 435,3 milioni nel 2010, per poi scendere a soli 43,7 milioni nel 2012 e infine recuperare in parte negli ultimi due anni fino ai 297,4 milioni del 2014.

La riduzione è stata dell’81% nel periodo 2007-2014, gli anni della crisi. Anche il Fondo per la non autosufficienza è passato dai 400 milioni di euro del 2010 al totale annullamento nel 2012, per poi risalire a 350 milioni nell’ultimo anno.

Secondo il Censis guidato da Giuseppe De Rita, l’andamento del Fondo per le politiche sociali, istituito nel 1997 per trasferire risorse aggiuntive agli enti locali e garantire l’offerta di servizi per anziani, disabili, minori, famiglie in difficoltà, testimonia il progressivo ridimensionamento dell’impegno pubblico sul fronte delle politiche socio-sanitarie e socio-assistenziali.

Un divario profondo tra Nord e Sud. Secondo gli ultimi dati disponibili, la spesa sociale dei Comuni supera i 7 miliardi di euro l’anno, pari a 115,7 euro per abitante. Complessivamente, la spesa è destinata per il 38,9% a garantire interventi e servizi, per il 34,4% al funzionamento delle strutture, per il 26,7% ai trasferimenti in denaro.

Le categorie che assorbono la quota maggiore di spesa sono le famiglie e i minori (40%), i disabili (23,2%), gli anziani (19,8%), i poveri e i senza fissa dimora (7,9%). Ma le differenze territoriali sono macroscopiche. Si passa dai 282,5 euro per abitante nella Provincia autonoma di Trento ai 25,6 euro della Calabria.

Mentre gran parte delle regioni del Centro-Nord si colloca al di sopra della media nazionale, il Sud presenta una spesa media pro-capite che ammonta a meno di un terzo (50,3 euro) di quella del Nord-Est (159,4 euro). Il Mezzogiorno è l’area del Paese in cui è maggiore il peso dei trasferimenti statali rispetto alle risorse proprie dei Comuni sempre in tema di Politiche sociali.

Al Sud queste ultime coprono meno della metà delle spese per il welfare locale, a fronte di una media nazionale del 62,5%. Di conseguenza, i tagli ai trasferimenti statali hanno un impatto diretto sulla riduzione delle risorse disponibili e quindi dei servizi destinati al sociale a livello locale, ampliando il divario già profondo tra Nord e Sud.

L’universo pulviscolare del non profit. In questo scenario, sono fondamentali le reti di sostegno informali, con il ruolo centrale della famiglia. Il volontariato e il non profit rappresentano però una componente fondamentale del nostro modello di welfare, in grado di contribuire in modo significativo all’erogazione di servizi e prestazioni sul territorio, garantendo la tenuta sociale rispetto agli impatti della crisi.

Le istituzioni non profit nel nostro Paese sono più di 300.000 e vi operano 5,4 milioni di persone tra lavoratori e volontari. Anche in questo caso la distribuzione territoriale evidenzia profondi divari. Le istituzioni non profit sono 104 ogni 10.000 abitanti in Valle d’Aosta, 100 in Trentino Alto Adige, 82 in Friuli Venezia Giulia, ma solo 41 ogni 10.000 abitanti in Calabria, 40 in Sicilia, 37 in Puglia, 25 in Campania.

Le associazioni non riconosciute sono più di 200.000 (il 66,7% del totale), più di 68.000 sono associazioni riconosciute (22,7%), le cooperative sociali sono oltre 11.000 (3,7%), più di 6.000 le fondazioni (2,1%), oltre 14.000 sono istituzioni con altra forma giuridica (4,8%). Sul totale delle istituzioni non profit, quelle impegnate nel settore sanitario e nell’assistenza sociale sono 36.000 (rappresentano il 12% del totale), precedute da quelle attive nel settore cultura, sport e ricreazione, che da sole rappresentano il 65% del totale.

Le cooperative sociali protagoniste del mercato del welfare locale, per il Censis. Consistente è il finanziamento pubblico delle attività non profit nel campo sanitario, dell’assistenza sociale e della protezione civile: 13,5 miliardi di euro, pari al 63% del loro budget complessivo. Il ruolo delle cooperative sociali, che pesano per il 3,7% sul totale delle istituzioni non profit, nel comparto sanitario e dell’assistenza sociale diventa più rilevante, salendo rispettivamente al 10,9% dei soggetti attivi nella sanità e al 17,8% nei servizi sociali.

Queste cooperative sociali sono 5.600 e impiegano 225.000 addetti. E sono in forte crescita. Tra il 2001 e il 2014 si registra un incremento dell’11,8% del sistema cooperativo nell’insieme, superiore all’incremento complessivo delle imprese (+5,1%). E giocano un ruolo predominante nel mercato dei servizi sociali, grazie ai bandi e alle gare di appalto dei soggetti pubblici, anche a fronte della scarsa presenza di imprese private for profit, meno interessate a quelle aree del sociale in cui i margini di profitto sono limitati.

Ma il fatto più problematico è una sorta di informalità diffusa, che rende possibile al soggetto pubblico di trovare il mezzo per risparmiare sulle risorse allocate innescando una concorrenza al ribasso tra le cooperative sociali, senza l’adeguata attenzione alle differenze nelle specializzazioni, nella competenza del personale impiegato, nella qualità dei servizi resi.


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