Come ampiamente prevedibile gli italiani torneranno alle urne per le elezioni politiche a scadenza naturale, a primavera 2018. Dopo il referendum del 4 dicembre scorso i partiti e movimenti schierati sul fronte del No, ma anche gli sconfitti renziani e il fronte del Si inondarono le redazioni di note affermando di voler votare il prima possibile, anche con il Consultellum, pur di restituire la parola agli italiani.
Si doveva attendere il 24 gennaio, giorno della sentenza della Corte costituzionale che “partorì” una “legge” disomogenea tra camera e senato. L’appello del presidente della Repubblica Mattarella ai partiti era stato quello di armonizzare le due leggi elettorali. I partiti presero atto (e anche tempo) e in Parlamento hanno fatto come i “ladri di Pisa”, cioè litigare di giorno e mettersi d’accordo di notte con l’obiettivo di allontanare lo spettro delle elezioni anticipate che avrebbe evitato a molti di loro di maturare il vitalizio a ottobre e di guadagnare qualche mese per restare aggrappati alle loro poltrone.
C’era stato il tentativo di fare una riforma elettorale, con un accordo tra Pd e M5S appoggiato anche da altre forze politiche, ma è naufragato miseramente alcune settimane fa alla Camera. La conseguenza fu abbastanza scontata: con l’estate in mezzo non ci sarebbero stati i tempi per il voto in autunno. Quindi, l’annuncio quasi solenne del capo dello Stato Mattarella che dal Canada ha detto che si andrà a elezioni “a fine legislatura”. Una farsa, quella dei partiti, i cui esiti erano sin dall’inizio abbastanza immaginabili.