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Il giornalista, politico, scrittore e sindacalista Emanuele Macaluso è morto stanotte a Roma all’Ospedale Gemelli. Era ricoverato per problemi cardiaci aggravati dai postumi di una caduta.
Nato a Caltanissetta il 21 marzo del 1924, fu esponente del Partito comunista sin dai tempi della clandestinità e venne chiamato da Palmiro Togliatti alla Segreteria divenendone uno tra i più giovani componenti.
Il 1 maggio del 1947 fu tra i testimoni della strage di Portella della Ginestra quando il bandito Salvatore Giuliano sparò contro la folla uccidendo 11 lavoratori e ferendone molti altri. Nel 1982 divenne direttore de ‘L’Unità’.
MORTE MACALUSO, MANCINI: SE NE VA PEZZO STRAORDINARIO DELLA STORIA DELLA SINISTRA
“Con Emanuele Macaluso se ne va un pezzo straordinario della storia della sinistra italiana. Giornalista dell’Unità clandestina a 18 anni, di cui poi fu direttore chiamato da Berlinguer. Il suo primo pezzo nel ’42 fu una denuncia delle condizioni degli zolfatari nisseni. Capo della Cgil siciliana a 23 anni. Leader dei deputati regionali del PCI a 28. Così Giacomo Mancini, già parlamentare socialista.
“Il suo impegno – spiega Mancini – si forgiò nelle lotte sociali. Era al fianco dei contadini il giorno dell’eccidio di Portella della Ginestra”.
“Il processo contro gli uomini della mafia che ordinarono quella strage si svolse a Catanzaro. Difensori di parte civile: Fausto Gullo e Pietro Mancini. Nel collegio difensivo c’era anche mio nonno Giacomo. Fu in quegli anni che iniziò l’amicizia tra i due che durò per tutta la vita. Emanuele, leader della corrente cosiddetta migliorata all’interno del PCI, insieme a Giorgio Amendola e Giorgio Napolitano. Giacomo, socialista e autonomista, ma sempre attento ad un dialogo a sinistra. Fu proprio Giacomo (Mancini, ex ministro e sindaco di Cosenza, ndr) che volle anche Emanuele a pronunciare l’orazione il giorno del suo funerale laico in piazza dei Bruzi a Cosenza”.
“Sarà anche per onorare il rapporto con mio nonno che Emanuele mi ha sempre trattato con affetto. Lo ricordo seduto al tavolo di una trattoria vicino a via Rasella a Roma e sul suo divano rosso della sua casa piena zeppa di libri a Testaccio. Era prodigo di consigli. L’impegno antimafia sempre da posizioni garantiste. Di analisi. E anche di ricordi delle battaglie: “Con Girolamo Li Causi nel settembre 1944 andammo a Villalba, uno dei feudi della mafia, a sfidare il boss Calogero Vizzini e ci spararono addosso”.
“E oggi solo a pensare ad un gigante come Emanuele Macaluso – conclude Mancini- pronunciare con la sua voce dolce le parole lotte e battaglie, mi escono le lacrime”.