La giornata nera di Pino Tursi Prato, arrestato e indagato da due procure antimafia

Chi è il politico socialista cosentino arrestato stamattina. Dalla carriera nel Psi alla scalata all'Usl di Cosenza. I guai con la giustizia, la condanna per mafia e il vitalizio al centro dell'inchiesta che lo riguarda

Carlomagno

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Pino Tursi Prato

Giornata nera per Giuseppe Tursi Prato, l’ex consigliere regionale in quota Psdi nella Quinta legislatura (maggio 1990) ed ex presidente dell’Usl di Cosenza, già arrestato a fine anni ’80 per concussione e poi finito in una brutta inchiesta per mafia in cui del 2004 è stato condannato a 6 anni.

Pino, come lo chiamano i suoi amici a Cosenza e in Calabria, stamattina è nuovamente finito in manette nell’ambito di un’inchiesta della Dda di Salerno che ha chiesto e ottenuto dal gip l’arresto di otto persone tra cui il magistrato Marco Petrini, presidente di sezione presso la Corte di Appello di Catanzaro, insieme a due avvocati e all’ex dirigente dell’Asp di Cosenza, Emilio Santoro, conosciuto come Mario.

Giornata nera perché l’esponente socialista, sempre stamattina, è stato raggiunto da un avviso di garanzia nell’ambito di un’altra inchiesta, questa volta della Dda di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri in cui sono finiti in carcere un banchiere, un cardiologo del Policlinico Gemelli e un imprenditore, in quanto sospettati di avere a che fare con la potente cosca Grande Aracri di Cutro. In questa indagine Tursi Prato è indagato, in compagnia di Nicola Adamo, ex consigliere regionale Pd, per traffico di influenze illecite.

Nell’inchiesta di Salerno, in codice “Genesi”, Tursi Prato è finito nei guai proprio per uno strascico di quella condanna per associazione mafiosa in cui si prevedeva anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, e secondo altre norme, la revoca del vitalizio maturato quando sedeva tra gli scranni del Consiglio regionale.

Secondo l’accusa campana, “le azioni correttive e documentate anche con attività di intercettazione audio e video servivano anche a fare ottenere il vitalizio a Giuseppe Tursi Prato”. Sarebbe stato Santoro a fare da tramite con il giudice Petrini per fare ottenere una sentenza favorevole a Tursi Prato. Secondo quanto riscontrato, al magistrato sarebbero state fatte regalie, pesce, champagne e altro, che dovevano servire a corrompere il giudice Petrini allo scopo di far riavere a Tursi Prato l’assegno.

Sempre nell’inchiesta della Dda salernitana, è indagato anche Ottavio Rizzuto, il banchiere presidente della “BCC del Crotonese” finito in manette stamane nell’altra inchiesta dell’antimafia catanzarese per presunte commistioni con il clan Aracri di Cutro. Nel ruolo di alto dirigente dell’istituto, Rizzuto avrebbe consentito prelievi di contanti finiti poi nelle tasche del giudice che, secondo l’accusa, per mantenere il suo alto tenore di vita e in sofferenza cronica, non bastava il consistente stipendio di magistrato.

Chi è Giuseppe (Pino) Tursi Prato
Socialista convinto migrato poi nel Psdi per una faida politica tutta interna al garofano, Giuseppe Tursi Prato, cosentino di 69 anni, per tutti Pino, era finito in manette nel 1988 allorquando la procura cosentina gli contestò il reato di concussione. Secondo l’accusa dell’epoca, da consigliere comunale avrebbe costretto un imprenditore a promettergli la somma di 300 milioni di lire come indebito corrispettivo da versare per ottenere l’incarico, senza gara d’appalto, per la costruzione del terzo lotto dei mercati ortofrutticoli di Via Gergeri, un affare da 5 miliardi di vecchie lire.

Erano gli anni d’oro del socialismo cosentino e calabrese. Pino Tursi Prato era un politico rispettato e temuto da tutti, sempre col sorriso e il sigaro in bocca; non era raro vederlo al bar Bronx di Cosenza incontrarsi con gli amici. Allora era un pezzo da novanta, forte anche dei suoi agganci politici del calibro di Paolo Romeo su Reggio e, in città, di Giacomo Mancini e dei fratelli Pino e Tonino Gentile, tutti compagni socialisti con cui entrò successivamente in rotta.

I guai seri per Pino Tursi Prato cominciarono quando venne eletto presidente dell’Usl 9 di Cosenza. E’ in quel periodo che le cosche di ‘ndrangheta cosentine lo avvicinarono e spesso minacciarono perché volevano sistemare all’Usl parenti e amici dei boss, ma anche molti suoi “compagni” che qualche anno dopo gli girarono le spalle.

A tirarlo in ballo per primo fu il pentito Franco Pino che aveva raccontato ai magistrati come funzionava la politica a Cosenza. Non solo: il collaboratore di giustizia aveva riferito di assunzioni in ospedale in cambio di pacchetti di voti. Voti che fin dai primi anni Ottanta sarebbero serviti a fare eleggere lui (alle regionali del ’90 racimolò quasi 8.000 voti col Psdi che prese due seggi. Il suo amico Paolo Romeo a Reggio venne eletto con 9.500 preferenze), ma anche altri pezzi grossi della politica cosentina. Su decine di indagati in quella inchiesta, ironia della sorte, alla fine venne condannato solo lui. Anche il collaboratore di giustizia venne assolto.

Oggi l’epilogo finale legato a quel vitalizio economico che dopo tante disavventure giudiziarie e senza più un soldo era l’unico strumento di sostentamento per l’uomo Pino Tursi Prato, ex pezzo forte del socialismo cosentino che fu tradito e fatto fuori dai suoi compagni; gli stessi che per suo tramite hanno anche costruito importanti carriere politiche ed elettorali senza essere mai sfiorati da inchieste giudiziarie.

Dino Granata