E’ stata confermata dalla Cassazione la rimozione dalla magistratura di Patrizia Pasquin, ex presidente del Tribunale civile di Vibo Valentia condannata in via definitiva per corruzione in atti giudiziari a due anni e otto mesi di reclusione.
I supremi giudici hanno infatti respinto – con il verdetto 22427 depositato oggi – il ricorso della Pasquin contro l’espulsione dall’ordinamento giudiziario deciso a suo carico dal Consiglio superiore della magistratura con decisione depositata il 28 luglio 2017.
Ad avviso della Suprema Corte, non merita obiezioni la pronuncia disciplinare del Csm che “ha rilevato l’estrema gravità dei fatti, evidenziando che il reato di corruzione in atti giudiziari commesso da un magistrato costituisce una condotta che attinge al massimo livello di intollerabilità da parte dell’ordinamento, qualunque e di qualunque entità ne sia l’utile che se ne trae, ed è fonte di discredito per la magistratura”.
La Pasquin era finita in manette nel 2011, insieme ad altre 13 persone, nell’operazione “Dinasty 2 do ut des” contro la cosca dei Mancuso, condotta dalla Direzione centrale anticrimine e dal servizio Centrale operativo della polizia di Stato. L’arresto era stato eseguito su ordine della Procura antimafia di Salerno, competente per il tribunale di Vibo. Insieme all’ormai ex giudice tra gli arrestati figuravano anche due avvocati allora accusati di corruzione in atti giudiziari per dei presunti favori al potente clan Mancuso.
Dall’inchiesta che portò all’arresto del giudice Patrizia Pasquin “è emersa una complessa trama di rapporti corruttivi ordita dallo stesso giudice nel corso degli anni ed avente come unico comune denominatore l’asservimento della funzione giurisdizionale ad interessi particolari”, avevano riferito allora i magistrati della Dda di Salerno. Tali interessi particolari sarebbero stati perseguiti dal magistrato medesimo e da altre persone, tra cui imprenditori, avvocati e commercianti, a vario titolo collegati alla dottoressa Pasquin “divenuta – riferiscono i magistrati di Salerno – vero e proprio punto di riferimento all’interno del Tribunale di Vibo Valentia, delineandosi una rete di complicità e collusione anche con esponenti delle istituzioni e dell’avvocatura”.