Il capogruppo del Pd calabrese, il renziano Sandro Principe perde dopo oltre 60 anni la sua Rende, storica e incontrastata roccaforte socialista dominata prima dal padre Cecchino poi dall’ex sottosegretario di stato. Ad espugnare il comune calabrese, l’indipendente Marcello Manna, che si è messo a capo di un “laboratorio” politico composto da liste civiche fuori dagli schemi partitici tradizionali e con l’appoggio mimetizzato del centrodestra. Un “evento storico” che giunge dopo decenni di dominio assoluto e dopo numerosi tentativi della coalizione di centrodestra di contrapporre a Rende un candidato credibile in grado di “abbattere” il feudo principiano.
In controtendenza nazionale, ci riesce Manna, un avvocato molto noto agli ambienti giudiziari ma sconosciuto all’universo politico. Il nuovo sindaco di Rende ha sconfitto il candidato voluto da Principe, Pasquale Verre, (57,66% contro il 42,34) ribaltando il risultato del primo turno (37,79 di Verre contro il 31,14 di Manna) avendo alleati una forte astensione e le molte divisioni interne allo stesso Pd, come il caso del consigliere regionale Mimmo Talarico (ex Idv oggi Pd aderente da Roma alla componente Civati dopo che la Calabria gli ha negato la tessera del partito) che ha schierato al primo turno un suo candidato a sindaco (Massimiliano De Rose) strappando alla coalizione di centrosinistra un preziosissimo 13,79 percento.
Un risultato determinante che ha costretto Verre al ballottaggio e di conseguenza ha condotto Manna alla storica vittoria. La roccaforte riformista si è indebolita negli anni progressivamente per una politica “assolutista” e una gestione del potere “personale” che nel tempo ha molto irritato non solo gli avversari quanto gli stessi alleati di Principe. I primi movimenti tellurici nel
fortino principiano si sono avvertiti tra la fine degli anni ’90 e il 2005 quando Talarico da assessore all’urbanistica con Principe sindaco fece sentire il suo forte dissenso verso una gestione “dispotica e autoritaria”. Conclusa la legislatura, tra i due seguirono anni di astio arricchiti da un forte “ostruzionismo” da parte degli allora Ds (ex partito di Talarico e a quel tempo formazione “amica” di Principe) che evidentemente temevano “l’ascesa” del futuro e promettente esponente politico. Un brutto attentato nel 2004, costrinse Principe ad abbandonare per molti mesi la scena politica e ad accumulare un vastissimo “credito” solidaristico.
Le grane proseguirono tuttavia con l’ex sindaco Umberto Bernaudo, alle prese con un nutrito gruppo di dissidenti interni alla maggioranza che denunciava “l’arroganza politica” dell’attuale capogruppo dei democrat calabresi. Accerchiato da minoranza e dissidenti il dominus di Rende venne accusato di aver messo in piedi il “cartello dei palazzinari”.
Episodi che hanno lentamente logorato l’immagine dell’ormai potentissimo consigliere regionale il quale si è man mano posto in una posizione, per cosi dire, di “autoisolamento”, terminato apparentemente dopo il netto sostegno a Matteo Renzi e all’attuale segretario regionale del Pd, Ernesto Magorno. L’ultima forte scossa, la commissione d’accesso antimafia per il comune (i cui esiti finiranno poi in un nulla di fatto) disposta sotto la sindacatura di Vittorio Cavalcanti a seguito dell’inchiesta “Terminator” che portò agli arresti per presunte commistioni con le ‘ndrine rendesi, Umberto Bernaudo e l’ex assessore al Bilancio Pietro Ruffolo. In piena tempesta mediatica, lo scorso anno Cavalcanti si dimise anche in netto disaccordo con Principe. Da allora cominciò un lungo periodo di commissariamento concluso di fatto oggi con la vittoria (solitaria) di Marcello Manna che ha dato lo scossone definitivo al fortino socialista.
La vittoria del penalista cosentino replica quella del 2011 a San Giovanni in Fiore e Cosenza, anche queste storiche roccaforti della sinistra calabrese. Il “merito” del centrodestra nelle ultime due circostanze fu determinato dalla spinta propulsiva dell’ex governatore Giuseppe Scopelliti. Mentre a Rende il sindaco Manna ha deciso di correre da solo senza i simboli dei partiti di centrodestra che hanno da sempre il demerito dell’improvvisazione con candidati last minute, confidando più nel vento in poppa di qualcuno che non nella preparazione per tempo di candidati e programmi credibili. Una strategia, quella di Manna, che lo ha ripagato nei fatti. La vittoria è tutta sua, come lo è stata il 25 maggio scorso solo per Matteo Renzi.