Vittorio Feltri per Il Giornale (30 giugno 2014)
Massimo Giuseppe Bossetti è in carcere da due settimane, accusato nientemeno che di aver ucciso Yara Gambirasio. La vicenda è nota e non la riassumo se non nelle ultime fasi. A quasi quattro anni dalla morte della tredicenne di Brembate Sopra (Bergamo), quando ormai sembrava che il caso fosse da archiviare, gli inquirenti hanno estratto l’asso dalla manica: il famoso Dna del quale ora tutti parlano senza sapere di che si tratti. Già.
Davanti alla scienza, chiunque tace. Come si fa a contestare ai camici bianchi la fondatezza dei loro referti? Nessuno osa mettere in dubbio gli esami di laboratorio, anche quando sono sballati. Questo è un problema, poi ce ne sono altri.
Noi, a differenza dei periti, siamo pieni di dubbi e non abbiamo certezze. Rifiutiamo i dogmi, anche quelli che escono dalle provette. Facciamo fatica a credere in Dio, figuriamoci se crediamo ciecamente ai ricercatori, che sono uomini colti, ma uomini e quindi non infallibili. In altri termini, abbiamo fiducia nella scienza e meno in chi la pratica, che ci assomiglia e sbaglia. Detto questo, per sottolineare che non esistono verità assolute aggiungiamo qualche considerazione non sulle indagini in corso quanto sulle indiscrezioni che emergono ogni dì.
Dato che il Dna non basta a inchiodare una persona alle sue eventuali responsabilità, i signori investigatori si affannano per trovare altri indizi – di contorno – allo scopo di provare la colpevolezza del Bossetti, muratore in proprio, marito senza macchia e padre affettuoso di tre figli. Sul conto del quale cosa è stato trovato di decisivo? Nulla. Ma solo un monte di pettegolezzi insignificanti spacciati per importanti indicazioni per chi desideri sollevare sospetti sulla sua personalità. Altro che buon padre di famiglia: un orco travestito da agnello. Chi lo dice? Vox populi.
Stando ai «si dice», ovvero a quanto raccolto sul conto del presunto assassino, questi avrebbe raccontato un sacco di balle. Quali? Banalità, insinuazioni, frescacce da brivido. Ricavo dalla lettura del Corriere della Sera, e non dal Corriere della serva, le seguenti notizie da pattumiera. Udite. «Si è contraddetto. Amava ballare e fare il brillante». Non è una frase pescata da un articolo cretino. È addirittura un titolo. E non è finita. Ecco il sommario, due righe: «Le serate latino americane al disco pub; e quelle bugie in apparenza inutili».
Proseguo: «Prima e dopo la scomparsa di Yara frequentava la “Toscanaccia”, locale a pochi passi da casa di Yara» (ho copiato fedelmente dal primo quotidiano italiano, pertanto le vaccate non sono mie). Capite, cari lettori, come si fa a identificare uno sporco omicida? Se uno frequenta talvolta un pub deve essere un tipo pericoloso, un pedofilo con tendenze omicide. Se poi costui ama il ballo ed è brillante, be’, allora diffidate perché se avete in famiglia una adolescente rischiate di perderla, morta ammazzata da lui. Quanto alle incursioni di Bossetti alla «Toscanaccia», attenzione: i clienti della citata trattoria sono tutti potenziali criminali, anche io che vi ho cenato spesso, essendo il locale di proprietà di Marco Falconi,titolare dell’omonima osteria di Ponteranica dove la domenica sera mi reco spesso con moglie e amici senza assistere, tra una portata e l’altra, a episodi di violenza carnale e a omicidi seriali.
Ecco, questi sarebbero alcuni dei gravi indizi a carico del povero disgraziato rinchiuso in carcere perché indicato quale probabile assassino di Yara. Ce ne sarebbero altri egualmente inconsistenti e direi cretini. Il lavoratore edile ovviamente maneggiava la calce. Nei polmoni della vittima sono state rilevate tracce della suddetta polvere. Significa che è stato lui a farla morire. Davvero? Non si considera che anche il padre della ragazza, nella sua veste di geometra, trascorreva molto tempo nei cantieri, ambienti dove la calce non è estranea? Ancora. Il cellulare di Bossetti la sera della scomparsa della fanciulla si agganciò all’antenna di Brembate. Altro indizio consistente? Ma fatemi il piacere.
Il muratore abita a Mapello, a uno sputo da Brembate, e quando rincasava inevitabilmente passava nei pressi dell’abitazione di Yara. Non è vero, gridano gli investigatori. Poteva percorrere una strada più breve. Come se non fosse pacifico che chiunque sceglie il tragitto meno trafficato e non il più breve. Non è tutto. Altro titolo del Corriere su Bossetti: «Per qualcuno è un padre da oratorio, ma non tutti concordano».Cosa vuoi dire? Se sei un fedelissimo «cliente» dell’oratorio sei un santo, altrimenti sei un porco? Continuo. Hanno interrogato la moglie dell’arrestato e le hanno domandato: signora, la sera in cui Yara si rese irreperibile, dov’era suo marito? A che ora è tornato a Mapello?
Lei non ha saputo rispondere, nel senso che non ricordava. Interrogativo retorico: chi di voi è in grado di rammentare come si comportò tre anni e mezzo fa? Se a me chiedono in quale luogo mi trovassi mercoledì scorso, sarei in difficoltà a rammentarlo. Figuriamoci se la memoria è capace di trattenere le mie mosse negli anni trascorsi. Non c’è cristiano al mondo che annoti sul diario i particolari delle proprie azioni giornaliere.
Per concludere, vari organi di stampa hanno accennato a peli rintracciati sulla vittima che sarebbero di Bossetti. Una fandonia. Ma la campagna di sputtanamento dell’uomo nell’occhio del ciclone continua. Balla su balla ci si avvicina alla condanna o, meglio, alla creazione del clima fasullo eppure adatto a produrre una sentenza di condanna. Che orrore. Se Bossetti merita l’ergastolo, bisogna esibire le prove certe della sua colpevolezza. Il gossip non basta.