Caporalato e immigrazione clandestina, 52 arresti tra Cosenza e Matera

Sequestrate 14 aziende agricole per un valore stimato di quasi 8 milioni di euro, 20 automezzi utilizzati per il trasporto dei braccianti agricoli. I caporali organizzavano matrimoni di comodo. Coinvolto un dipendente del comune di Rossano

Carlomagno

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E’ di 52 arresti e otto obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria il bilancio di una vasta operazione della Guardia di finanza di Cosenza che nella notte nelle province di Cosenza e Matera ha smantellato due organizzazioni dedite allo sfruttamento della manodopera nei campi e al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Le Fiamme Gialle cosentine hanno inoltre proceduto al sequestro preventivo di 14 aziende agricole, di cui 12 ubicate in provincia di Matera e due in provincia di Cosenza, per un valore stimato di quasi 8 milioni di euro, e di 20 automezzi utilizzati per il trasporto dei braccianti agricoli reclutati.

L’indagine, denominata “Demetra”, coordinate dalla Procura di Castrovillari, trae origine dal controllo, effettuato dai finanzieri della Tenenza di Montegiordano, di un furgone che, diretto nelle campagne lucane, percorreva la statale 106 Jonica con a bordo 7 braccianti agricoli provenienti dalla Sibaritide.

Le attività d’indagine hanno condotto, sin da subito, all’identificazione di numerosi soggetti, italiani e stranieri (in particolare, di nazionalità pakistana, magrebina e dell’Est Europea), impegnati in un’organizzata e fiorente attività di sfruttamento illecito di manodopera bracciantile, (“caporalato”), e di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina nella piana di Sibari.

Le investigazioni, durate più di un anno, hanno visto le Fiamme Gialle di Montegiordano impegnate in un’intensa attività di intercettazione, in numerosi e mirati servizi di osservazione e pedinamento, localizzazioni GPS, sequestri, acquisizioni documentali ed assunzione di sommarie informazioni.

All’esito, è emerso un grave quadro indiziario attestante plurime e reiterate condotte di sfruttamento ed utilizzazione illecita di manodopera, spesso reclutata anche attingendo dai C.A.S.I. locali, nonché di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Oltre 200 i braccianti reclutati e condotti sui campi in condizioni di sfruttamento, costretti a lavorare in assenza di dispositivi di protezione individuale, impiegati in turni di lavoro usuranti e costretti ad accettare condizioni di lavoro degradanti e non conformi alle prescrizioni vigenti nel settore.

Due le associazioni smantellate tra la Calabria e la Basilicata.

La prima, cui appartenevano, a vario titolo, 47 soggetti, impegnata in una fiorente attività d’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.

L’organizzazione era composta da 16 soggetti, i cosiddetti caporali, considerati ai vertici del sodalizio con compiti di direzione e controllo dell’illecita attività. Erano loro, secondo l’accusa, a stabilire le modalità del reclutamento, a fissare le condizioni dell’impiego sui campi dei singoli braccianti, ad avere i rapporti con gli imprenditori-utilizzatori della manodopera, ad organizzare i furgoni utilizzati per il trasporto dei braccianti reclutati presso le diverse aziende, a tenere la contabilità relativa alle giornate di lavoro svolte da ciascun bracciante, a retribuire quest’ultimo per la singola giornata di lavoro svolto mediante la corresponsione di somme di denaro non adeguate al lavoro prestato.

8 sub-caporali, con il ruolo di collaboratori diretti dei vertici del sodalizio criminoso, la longa manus di questi ultimi nella gestione della manodopera bracciantile;
22 utilizzatori, che, attraverso le aziende agricole da loro gestite, ben 13, e sulla scorta di consolidati rapporti con i vertici dell’organizzazione criminale, impiegavano i braccianti reclutati nei campi, sottoponendoli a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno. Ciò mediante un collaudato sistema di fittizie assunzione che, in ultima analisi, determinava imponenti risparmi fiscali e previdenziali;
Un dipendente dell’amministrazione comunale di Rossano, il quale, abusando del suo ruolo, favoriva i vertici dell’organizzazione criminale rilasciando documenti di identità e certificati di residenza in favore dei braccianti reclutati, al fine di regolarizzarne la posizione sul territorio e consentire la fittizia assunzione da parte delle aziende utilizzatrici.

La seconda, composta da 13 soggetti, impegnata, oltre che nell’illecito sfruttamento della manodopera, anche nel favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Le indagini hanno consentito di far emergere un’organizzata struttura criminale che, dietro pagamento di cospicue somme di denaro, organizzava matrimoni “di comodo” finalizzati a garantire la permanenza, sul territorio italiano, di una pletora di soggetti irregolari o a favorire, mediante permessi di soggiorno per ricongiungimento familiare, l’ingresso di soggetti dimoranti all’Estero.

Dopo essersi procurati la documentazione necessaria, gli indagati organizzavano le nozze presso il Comune di competenza e, nel giorno stabilito, con la compartecipazione di testimoni fittizi, aveva luogo il matrimonio tra i finti nubendi i quali, poi, decorsi i termini di legge, si attivavano subito per attivare il procedimento di separazione personale prima e divorzio poi.

Le penetranti investigazioni della Guardia di Finanza hanno inoltre permesso di individuare oltre 200 braccianti agricoli, per lo più extracomunitari, i quali, in stato di bisogno, sono stati impiegati, in condizioni di sfruttamento, a favore di 14 aziende agricole; ricostruire le retribuzioni percepite dai braccianti reclutati; retribuzioni corrisposte in nero ed inidonee a garantire una vita dignitosa; quantificare gli imponenti guadagni illeciti accumulati dagli indagati; accertare la disponibilità, in capo agli indagati, di plurimi automezzi utilizzati per il trasporto dei braccianti sui campi di lavoro; accertare, altresì, un ampio fenomeno di acquisto illegale di gasolio per l’agricoltura, cioè di combustibile agevolato poiché con accisa ridotta, gasolio utilizzato per alimentare i suddetti mezzi di trasporto. Il gasolio veniva acquistato dagli indagati direttamente o per il tramite di soggetti terzi e detenuto presso i luoghi di dimora, in modo da poterlo utilizzare all’occorrenza; accertare le condizioni degradanti in cui vivevano i braccianti agricoli che alloggiavano in strutture fatiscenti, spesso in sovrannumero, procurate loro dagli indagati, e per le quali erano costretti a corrispondere una somma di denaro a questi ultimi per abitarvi.