Dire “mafioso” su Facebook non è reato. Assolto Occhiuto

Carlomagno
Pino Gentile Mario Occhiuto
Pino Gentile e Mario Occhiuto

Il sindaco di Cosenza Mario Occhiuto è stato prosciolto perché il fatto non costituisce reato nel procedimento penale che vedeva il primo cittadino imputato del reato di diffamazione aggravata in danno del vicepresidente del consiglio regionale Giuseppe Gentile.

Al processo si era arrivati dopo la denuncia-querela presentata dallo stesso Gentile il 9 ottobre 2014: Gentile considerava diffamatorio un post pubblicato da Occhiuto sulla propria pagina Facebook il 26 settembre 2014, in cui il sindaco, criticando un certo modo di fare politica, invitava gli elettori a opporsi a sistemi di “pressione mafiosa”.

Il post era conseguente al “fenomeno” verificatosi in occasione della presentazione della candidatura a presidente della Provincia di Cosenza, ove diversi consiglieri comunali, che avevano dapprima sottoscritto e appoggiato la sua candidatura, avevano poi “ritirato” la sottoscrizione per presentarla, successivamente, in favore del candidato indicato da Ncd e dal gruppo che faceva riferimento a Gentile.

La Procura, al termine delle indagini, aveva chiesto per due volte l’archiviazione dell’accusa, ma il gip – davanti alle richiesta del legale di Gentile, Guido Siciliano – aveva disposto la formulazione dell’imputazione di Occhiuto per il reato di diffamazione aggravata, poiché aveva ritenuto l’uso del termine “pressioni mafiose” e l’invito a rifiutate “i voti della mafia e di Gentile” offensivi dell’onore e del decoro del consigliere regionale.

I testimoni, nel corso dell’istruttoria, hanno confermato lo sdegno e la rabbia di Occhiuto per il “dietrofront” degli amministratori locali. E lo stesso sindaco ha spiegato di aver voluto criticare un comportamento “politicamente ed eticamente inaccettabile, senza alcun attacco alla persona”.

Motivazioni che, unite a quelle illustrate dall’avvocato del primo cittadino, Nicola Carratelli, hanno convinto il giudice. Carratelli ha spiegato che il contenuto del post “incriminato” non travalicasse i limiti del diritto di critica politica e, soprattutto, che l’aggettivo “mafioso” fosse da intendere “non come una critica personale a Gentile ma, se anche nella sua accezione negativa, come usato correntemente, in quanto volto a censurare una certa tendenza prevaricatrice”. Il pm ha chiesto l’assoluzione dell’imputato. E il giudice Claudia Pingitore, ha prosciolto il sindaco “perché il fatto non costituisce reato”.