Induzione indebita a dare o promettere utilità. E’ questo il reato che la Procura di Cosenza contesta al Prefetto di Cosenza Paola Galeone finita stamane ai domiciliari per mani della Squadra mobile di Cosenza che ha notificato il provvedimento nell’abitazione della donna a Taranto.
Secondo l’accusa, l’alto funzionario dello Stato avrebbe intascato dall’imprenditrice Cinzia Falcone, presidente dell’associazione Animed, 700 euro derivanti dal fondo che il Viminale assegna ogni anno ai prefetti per spese di rappresentanza. Per distrarre la somma residua, altrimenti sarebbe tornata al ministero, la Galeone avrebbe proposto in soldoni alla Falcone di emettere una fattura fittizia di 1220 euro, per poi pattuire settecento per lei e 500 per l’imprenditrice, la stessa che l’ha incastrata spifferando tutto alla Polizia. Gli agenti hanno poi ripreso lo scambio in diretta in un bar dove le due protagoniste si erano dati appuntamento “per un caffè”. Se le accuse dovessero reggere, il pubblico ufficiale rischia da sei anni a 10 anni e sei mesi di reclusione, secondo quanto recita l’articolo 319 quater del codice penale.
La Procura guidata da Mario Spagnuolo ha fatto sapere che le indagini proseguono per accertare eventuali altri fatti penalmente rilevanti. Da quanto si apprende, la Squadra mobile sta passando al setaccio i movimenti in denaro della Prefettura di Cosenza per capire se vi siano state analoghe condotte in passato, almeno dal 2018 in poi, anno in cui la Galeone si è insediata a Cosenza.
Ma non solo, l’indagine potrebbe riguardare anche agli anni precedenti. Oltre ai conti correnti personali, sotto la lente degli investigatori potrebbero finire anche altri tipi di attività, come i finanziamenti autorizzati dalla Prefettura ad associazioni ed enti per la gestione di immigrati al fine di verificare se tutto sia avvenuto secondo la legge. La Falcone è presidente dell’Animed, associazione che gestisce il Centro di accoglienza straordinario per migranti di Camigliatello Silano, per questo da tempo in cooperazione con la prefettura.
Si spulcia pure nei rapporti, definiti stretti, tra l’accusatrice Falcone e la Galeone. Rapporti che pare andassero oltre i canoni istituzionali. In alcuni WhatsApp in mano alla Polizia la Galeone risponderebbe ad un messaggio della Falcone in cui le annuncia che “insieme” avrebbero “fatto grandi cose”. Un messaggio così confidenziale che la dice lunga sul rapporto distinto che dovrebbe esserci tra una rappresentante di un ente che pure opera istituzionalmente con la prefettura, e la massima carica del governo in città che è tenuta a vigilare sul corretto operato degli enti che ricevono contributi dal ministero dell’Interno.
E la conferma del rapporto confidenziale arriva dal fatto che la Prefetta avrebbe proposto il presunto “patto” di spartizione, tra l’altro molto esiguo in termini di quattrini, ad una persona, la Falcone, di cui evidentemente si fidava ciecamente. Patti del genere non si propongono infatti al primo che passa in Piazza 11 Settembre, o altrove.
Al di là del reato consumato dalla Galeone, (anche se il gesto è grave lo stesso, va detto che 700 euro sono una cifra ridicola per un alto funzionario che guadagna almeno dieci, quindici volte tanto ogni mese), in questa torbida storia resta ancora un grande mistero: cosa sia stato l’elemento di “rottura” tra le due “amiche”, se tali erano, che ha spinto l’una a incastrare l’altra?! E’ questo il nocciolo su cui gli inquirenti sono chiamati a fare chiarezza, quello che in gergo di cronaca, in ogni atto criminale, è chiamato il “movente”.
Dino Granata