REGGIO CALABRIA – Rimborsopoli, bufera giudiziaria sulla Regione Calabria. E’ di 3 arresti domiciliari e 5 divieti di dimora il bilancio dell’operazione “Erga Omnes” condotta dalla Guardia di Finanza sotto il coordinamento della Procura di Reggio Calabria sui falsi rimborsi a palazzo Campanella negli ultimi anni. Le indagini si concentrano sulla gestione dei fondi destinati ai gruppi consiliari regionali negli anni 2010/2011/2012.
Ai domiciliari sono finiti l’attuale assessore regionale calabrese ai trasporti e lavori pubblici, Nino De Gaetano (Pd), l’ex presidente del Consiglio regionale Luigi Fedele (Ncd) mentre è stata avanzata a palazzo Madama una richiesta di arresto per il senatore Ncd, Giovanni Bilardi, ex consigliere regionale della Calabria nella nona legislatura, quella nel mirino della procura. Le accuse sono di peculato e falso.
Il gip oltre alle 3 ordinanze di custodia cautelare, ha emesso cinque ordinanze di divieto di dimora in Calabria, tra cui quattro politici: Nicola Adamo (ex capogruppo del Pd nella scorsa legislatura); Alfonso Dattolo (ex assessore regionale all’Urbanistica, Udc); Pasquale Tripodi (ex consigliere regionale Udc) e Giovanni Nucera (FI).
In tutto sono 31 le persone indagate a vario titolo, tra cui anche l’attuale presidente del Consiglio regionale Antonio Scalzo e, fra gli altri, l’attuale assessore al Lavoro Carlo Guccione e il vicepresidente della giunta Oliverio, Enzo Ciconte. A Guccione e Ciconte sono stati sequestrati rispettivamente 26mila euro e 69mila euro.
Indagati cinque parlamentari calabresi, tutti ex consiglieri regionali nella nona legislatura: Oltre a Bilardi, su cui pende una richiesta di arresto gli altri sono Pietro Aiello (Ncd), Demetrio Battaglia (Pd) Ferdinando Aiello (Pd) e Bruno Censore (Pd). I politici sono tutti destinatari di decreti di sequestro di presunti fondi provenienti dai rimborsi.
L’inchiesta nasce nel 2010, su una denuncia dell’ex consigliere regionale Aurelio Chizzoniti che mise nei guai gli ex suoi colleghi Antonio Rappoccio e il suo ex capogruppo, Giulio Serra, di “”Insieme per la Calabria”, entrambi rinviati a giudizio dalla Procura generale di Reggio Calabria per presunta truffa e peculato. Poi l’inchiesta si è allargata a macchia d’olio in concomitanza con gli scandali “rimborsopoli” registrati in molti consigli regionali d’Italia. Dopo i casi Serra e Rappoccio, la Gdf comincia a fare perquisizioni anche nell’astronave calabrese acquisendo in tutti i gruppi consiliari fascicoli, documenti e fatture in merito ai rimborsi delle aggregazioni consiliari.
Le Fiamme gialle scopriranno che molti degli arrestati e indagati attingevano ai fondi dei gruppi per presunti interessi personali. Secondo l’accusa, le persone sotto inchiesta avrebbero acquistato bene e servizi che nulla avevano a che fare con la mission istituzionale dei gruppi: dal pagamento di cartelle di Equitalia, all’acquisto di gratta e vinci, a viaggi personali, a televisori, cambio, pneumatici, leasing di auto e tanto altro, tra cui anche semplici caffé e gomme da masticare.
DE GAETANO: “MI DIMETTO DA ASSESSORE E DA PD”
L’assessore De Gaetano, ha fatto sapere di esserci già dimesso da assessore regionale e autosospeso dallo stesso Partito democratico, soggetto in cui approdò da Rifondazione comunista. Nella giunta Loiero ricoprì l’incarico di assessore al Lavoro.
IL GIP: SISTEMA “ISPIRATO A UN ESERCIZIO TRACOTANTE DEL POTERE”
L’inchiesta della procura reggina “Erga Omnes” sulla Rimborsopoli calabrese ha fatto emergere “una gestione gravemente omissiva in punto di controlli successivi sui titoli di spesa, sia nel caso di anticipazione di fondi che di riconoscimento postumo della legittimità della spesa mediante rimborso, deliberatamente funzionale a rendere possibile, perpetuandolo, un sistema di utilizzazione di fondi pubblici a destinazione vincolata, secondo schemi collaudati nel nostro Paese, ispirato a un esercizio tracotante del potere, che tradisce anche sicurezza di impunità”.
E’ quanto scrive nel provvedimento di 850 pagine il Gip del tribunale di Reggio Calabria Olga Tarzia.
“L’omesso controllo dei capi gruppo – aggiunge – era deliberatamente ispirato a una logica di compiacente e colpevole condivisione di certi metodi di sfruttamento parassitario di cospicue disponibilità finanziarie di natura pubblica che, senza alcun pudore, ma semmai con spregiuducato disprezzo delle regole, sono state utilizzate per finanziare spese personalissime con una scandalosa tracotanza, mentre le funzioni legislative e quindi costituzionali esercitate avrebbero dovuto ricordare agli odierni indagati, in ogni momento, che la vita pubblica esige rigore e correttezza, tanto più che si tratta di soggetti che possono contare su cospicue indennità di funzione che ne assicurano indipendenza e prestigio sociale”.
LA POLEMICA DE GAETANO LANZETTA OLIVERIO
L’esponente politico era già entrato in una violento alterco politico in gennaio, quando l’attuale governatore Mario Oliverio decise di nominarlo assessore, nonostante De Gaetano , pur non essendo indagato, venne citato in una informativa della polizia nell’ambito di una inchiesta che portò alla sbarra il presunto clan mafioso Tegano di Reggio Calabria. Lo scontro è avvenuto con la dimissionaria ministra degli affari regionali Maria Carmela Lanzetta. “Licenziata” senza tanti complimenti da ministro, venne “dirottata” da Matteo Renzi (d’intesa con Oliverio), a fare l’assessore in Calabria. Lei con un comunicato accettò “l’incarico prestigioso”.
LA PARABOLA DI DE GAETANO, CITATO PER MAFIA MA ARRESTATO PER RIMBORSI FALSI
Dopo qualche ora, prima con una nota di palazzo Chigi attribuita a Graziano Delrio, poi con una personale di Lanzetta, venne sancita “l’incompatibilità” dell’ex ministro con la presenza di Antonino De Gaetano nella giunta Oliverio, i cui contorni erano poco chiari in merito all’inchiesta per mafia. Lei tornò a fare la farmacista e lui fece l’assessore. La parabola è che a distanza di cinque mesi De Gaetano viene arrestato, ma non nell’inchiesta per mafia, da cui risulta estraneo, bensì perché avrebbe speso oltre 400mila euro di fondi del suo gruppo Federazione della sinistra nella scorsa legislatura.
Estraneo il governatore della regione Mario Oliverio. All’epoca dei fatti non era consigliere regionale. Per lui si annunciano comunque ore e giorni difficili.
Il blitz di stamane, mette in bilico l’assetto politico della giunta regionale targata Oliverio. Il governatore è estraneo all’inchiesta, ma la sua maggioranza potrebbe subire pesanti contraccolpi politici. Le critiche maggiori potrebbero venire proprio dal suo partito che già gli rimproveravano di aver cominciato con “passo lento” la legislatura. Oliverio ha nominato finora 3 assessori su 7: allo stato attuale uno dei tre è arrestato e gli altri due sono indagati. Dei restanti 4 ne ha annunciato la nomina a luglio, ossia a sette mesi dalla proclamazione e a oltre tre dalla seconda lettura dello statuto regionale. In serata è arrivato l’annuncio dell’assessore al Bilancio Ciconte di “rimettere nelle mani di Oliverio le deleghe”. Nelle ultime ore sono circolate voci sull’ipotesi che il presidente Oliverio possa procedere ad un azzeramento totale della giunta per presentarne una nuova di zecca agli inizi di luglio. Secondo lo statuto, il governatore può procedere alla nomina anche di soli assessori esterni. In tutto sette.
LEGISLATURA MINATA DALLA GIUSTIZIA E DALLA CONSULTA
Una legislatura, questa, che è minata oltre che dalle indagini giudiziarie anche dalla Consulta per il caso dell’esclusione di Wanda Ferro, competitor diretta di Oliverio alle regionali dello scorso novembre. Dopo il ricorso dell’esponente di Forza Italia al Tar della Calabria, che si è espresso rimandando il caso da dirimere alla Corte Costituzionale, non è escluso che la Suprema Corte arrivi ad annullare addirittura le elezioni per via di una legge elettorale varata (a settembre 2014) da un consiglio in prorogatio dopo le dimissioni dell’ex governatore Giuseppe Scopelliti. Una legge elettorale ritenuta “illegittima” e varata da un Consiglio politicamente pasticcione, come si rivelò quello della nona legislatura e come ha certificato il tribunale amministrativo calabrese nel ritenere che quella legge non poteva essere approvata da un consiglio preposto alla sola ordinaria amministrazione.