E’ solo il primo round di un procedimento di portata storica qla sentenza letta sabato pomeriggio dal gup distrettuale di Catanzaro, Claudio Paris, nell’aula bunker di Lamezia Terme nel troncone con rito abbreviato dell’operazione ‘Rinascita-Scott’, scattata la notte del 19 dicembre 2019 con oltre 300 arresti per un totale di 479 indagati.
Le condanne sono state 70, le prescrizioni 2, le assoluzioni 19. Oltre 650 il totale di anni di carcere inflitti. Il resto degli imputati, oltre 300, ha invece scelto il rito ordinario. Fra loro esponenti politici, come l’ex senatore di Forza Italia ed avvocato Giancarlo Pittelli, l’ex consigliere regionale del Pd Pietro Giamborino, l’ex sindaco dem di Pizzo Calabro, Gianluca Callipo.
Per singoli capi d’imputazione è competente anche il Tribunale di Cosenza, dove sono attualmente sotto processo gli ex assessori regionali Nicola Adamo e Luigi Incarnato, il primo del Pd, il secondo socialista. Il processo principale è ancora in corso, sempre nell’aula bunker di Lamezia, dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia.
Alla sbarra le cosche di Vibo Valentia e del Vibonese che, per la prima volta, sono stati colpiti in maniera unitaria e non con singole operazioni contro i singoli clan. La sentenza riconosce, quindi, l’unitarietà della ‘ndrangheta del Vibonese, con l’esistenza di un vero e proprio “Crimine”, struttura di vertice simile a quella già accertata giudiziariamente come esistente in provincia di Reggio Calabria. Le condanne del giudice in alcuni casi superano le stesse richieste della pubblica accusa, rappresentata dalla Dda di Catanzaro con in testa il procuratore capo Nicola Gratteri ed i pm Antonio De Bernardo, Annamaria Frustaci ed Andrea Mancuso.
L’inchiesta è nata nel 2014. Vi hanno lavorato i carabinieri del Ros di Catanzaro e Roma ed i militari dell’Arma del Nucleo Investigativo di Vibo Valentia.
Un’inchiesta poderosa, con i soli capi d’imputazione contenuti in 250 pagine, un’ordinanza del gip composta di oltre tremila pagine, mentre la richiesta della Procura è contenuta in ben 14mila pagine. La sentenza emessa sabato riconosce l’operatività dei clan Lo Bianco-Barba e Camillò-Pardea-Macrì sulla città di Vibo Valentia, Accorinti sul paese di Zungri, Fiarè-Gasparro-Giofrè di San Gregorio d’Ippona, Mancuso su Limbadi e Nicotera con i vertici aventi competenza sull’intero territorio provinciale.
Tra i condannati anche un’impiegata del Tribunale di Vibo Valentia (sezione Lavoro) che avrebbe favorito i clan in alcune pratiche. Associazione mafiosa, narcotraffico, estorsione, sequestro di persona, detenzione illegale di armi, danneggiamenti, tentati omicidi, usura, intestazione fittizia di beni i reati contestati a vario titolo nel processo. La sentenza stabilisce anche risarcimenti record nei confronti delle parti civili (diversi comuni del Vibonese), riconoscendo una provvisionale di ben 900mila euro alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed al Ministero dell’Interno, e di 750mila euro alla Regione Calabria, anche loro parti civili. Il resto dei danni andrà liquidato in separata sede.
Il procuratore Nicola Gratteri, al termine della lettura della sentenza, non ha nascosto la sua soddisfazione. “E’ una sentenza importante – ha spiegato – 91 imputati, 70 presunti innocenti condannati, due prescritti e 19 assolti. Aspetteremo le motivazioni della sentenza che leggeremo con attenzione per capire se per qualche assoluzione può essere rivista o potremo proporre appello.
Il dispositivo, secondo il magistrato, “dimostra pienamente il corpo del capo d’imputazione. Il lavoro della procura viene confermato alla grande – ha affermato ancora – soprattutto perché molte delle 19 assoluzioni sono posizioni marginali e di minor rilievo. La struttura associativa ha retto completamente. Questa sentenza è una base importante e si chiederà venga acquisita come documento nel processo che si sta celebrando con rito ordinario. Andiamo avanti con il nostro lavoro, con serenità, con tranquillità e con la fermezza che serve – dice Gratteri – per un processo così importante”.