Barbara Romano per Libero (27 novembre 2014)
La resa dei conti alla fine c’è stata tra Raffaele Fitto e Silvio Berlusconi. Ed è stata più esplosiva del previsto, pur essendo arrivata con un giorno di ritardo. Il “Don Chisciotte” azzurro, infatti, avrebbe voluto che il Cav rimandasse a ieri la riunione del comitato di presidenza, dal momento che martedì Fitto non poteva essere a Roma dovendo, da europarlamentare, presenziare alla visita del Papa a Strasburgo.
Ma Berlusconi non ne ha voluto sapere. Ha convocato lo stesso per martedì il parlamentino di Fi, concedendo al suo avversario interno solo un supplemento di riunione. Ma tanto è bastato a Fitto per fare le fiamme.
Prima Fitto ha concesso, dopo un lungo silenzio, un’intervista a Giovanni Minoli su Radio24, facendo ciò che Berlusconi odia di più: lavare i panni sporchi in pubblico, come lo stesso Cavaliere, proprio il giorno prima, aveva raccomandato ai suoi di non fare.
Poi si è recato a Palazzo Grazioli. Lì il leader di Fi ha ribadito la propria linea filo-governativa sulle riforme: «Sono assolutamente convinto della bontà del patto del Nazareno». Fitto ha provato a smontargli tutti gli assi, vecchi e nuovi. Sia quello con il premier, sia quello che il Cav sta cercando di ricostruire con la Lega: «Non siamo gregari di nessun Matteo», ha attaccato il capo dei ribelli forzisti, che ha rilanciato le primarie per la scelta del candidato premier.
Ma Berlusconi di primarie non vuole sentir parlare. E soprattutto non ha nessuna intenzione di uscire di scena.
Per questo tenta di aggrapparsi ai due “Mattei”. Davanti al gotha del partito, infatti, il leader ha ribadito quanto detto il giorno prima durante la presentazione del libro di Bruno Vespa. Ha continuato, cioè, a difendere a spada tratta l’asse con Renzi sulle riforme, ma anche la necessità di costruire un cartello elettorale con la Lega in vista delle prossime Politiche. Sempre ammesso che Salvini sia d’accordo…
Di sicuro non ci sta Fitto, che ha contestato punto per punto la linea di Berlusconi, prendendo la parola subito dopo di lui. L’ex governatore della Puglia è partito da un’analisi impietosa del risultato delle Regionali e, snocciolando i dati dell’Istituto Cattaneo, ha affondato il dito nelle piaghe di Fi in Emilia Romagna, «60% di elettori in meno», e in Calabria, «40% di voti persi» rispetto alle «già brutte europee».
Una sconfitta «enorme», l’ha definita Fitto, che la imputa agli errori nella scelta delle alleanze e soprattutto dei candidati: «In Emilia siamo stati delle comparse, abbiamo regalato la candidatura alla Lega senza averne discusso prima tra noi». Eccolo, il nuovo sasso che Berlusconi ha infilato nelle scarpe non solo di Fitto, ma di tanti dentro Fi che masticano amaro e proprio non riescono a mandare giù l’investitura di Salvini.
E che ieri «Raffaele» ha scagliato addosso al Cav senza tanti giri di parole: «Non possiamo ridurci a fare i gregari di Salvini. Se c’è qualcuno più bravo io sono pronto a farmi da parte. Ma non puoi indicare come centravanti uno che non è del tuo partito».
Berlusconi, che all’ultimo ufficio di presidenza era stato durissimo con Fitto, dandogli del «figlio di democristiano», stavolta è stato più conciliante. Momento di tensione invece con Daniele Capezzone, che ha detto senza giri di parole che i risultati del voto in Emilia-Romagna e Calabria sono per Forza Italia «l’anticamera della sparizione». Alle critiche Berlusconi ha risposto correggendo il tiro sul segretario della Lega, sminuendone l’investitura. «Le mie parole su Salvini sono state strumentalizzate, non ho mai detto che lui è il futuro leader, ho solo detto che è uno dei potenziali leader».
Bisognerà vedere se Berlusconi riuscirà a convincere Fitto, che oggi incontrerà a pranzo. L’ex governatore della Puglia potrebbe giocarsi la rivincita in Parlamento, dove conta 37 fedelissimi tra Camera e Senato. Interrogato circa le intenzioni di voto sue e dei suoi deputati e senatori su Italicum, riforma del Senato e legge di stabilità, Fitto prende tempo: «Vedremo». Un po’più esplicito il “fittiano” Saverio Romano, il quale nel proprio intervento ha detto che «prima va riformato il Senato, poi si stabilisce la governance e solo dopo si può fare la riforma elettorale». Nessun regalo insomma, nessun assegno in bianco: né per Renzi né per Berlusconi.