Operazione Alibante, ai domiciliari l’avvocato Bagalà. “La mente legale della cosca”

Carlomagno

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L’avvocato Maria Rita Bagalà coinvolta in blitz Dda di Catanzaro (Ansa)

L’avvocato di Aosta Maria Rita Bagalà, lametina di 52 anni, risulta tra i 19 destinatari di misura cautelare nell’operazione Alibante, coordinata dalla procura distrettuale di Catanzaro. L’avvocato è agli arresti domiciliari. Oltre una quarantina gli indagati in tutto.

L’operazione, scattata all’alba nella provincia di Catanzaro e in altre province, ha portato all’arresto di 17 persone ritenute responsabili, a vario titolo, dei reati di associazione di tipo mafioso, concorso esterno in associazione mafiosa, scambio elettorale politico-mafioso, corruzione, estorsione, intestazione fittizia di beni, rivelazione di segreti d’ufficio e turbativa d’asta.

La donna è accusata di essere la “mente legale della cosca” Bagalà. Assieme a lei è indagato a piede libero anche il marito, l’avvocato aostano Andrea Giunti, che – secondo l’accusa “partecipava con consapevolezza di scopi e vincoli al sodalizio”.

Dalle indagini dei carabinieri, è emerso che Maria Rita Bagalà è la figlia di Carmelo Bagalà, anche lui arrestato oggi, e considerato dagli inquirenti il “capo storico e attuale” dell’omonima cosca operante nei comuni costieri di Falerna e Nocera Terinese, centri tirrenici confinanti tra le province di Catanzaro e Cosenza.

Il Gip: “Legale partecipava alla cosca”
L’avvocato aostano Maria Rita Bagalà, agli arresti domiciliari nell’ambito dell’operazione Alibante della Dda, sotto la regia del padre Carmelo Bagalà, ”partecipava alla cosca” , garantendo “l’amministrazione dei diversi affari illeciti”. Lo scrive il gip di Catanzaro, Matteo Ferrante, nell’ordinanza di custodia cautelare sottolineando che il legale, oltre a essere la ”mente legale del clan”, curava gli interessi economici e finanzieri del sodalizio. Non solo, aveva assunto anche il ruolo di prestanome della società ‘Sole srl’ ed era l’intestataria dei beni patrimoniali e delle quote societarie della consorteria “costituenti il provento illecito della varie attività delittuose del clan”.

Per gli inquirenti, il marito Andrea Giunti, indagato anche lui nell’ambito della stessa inchiesta, non solo era a conoscenza dei fatti, ma amministrativa in prima persona e in maniera occulta, assieme a lei e al suocero, le attività della ‘Calabria Turismo srl’, società interdetta per mafia nel 2016. Per l’accusa, i due coniugi erano riusciti a ottenere, indebitamente, un finanziamento pubblico di quasi 600 mila euro proprio attraverso la società ‘Calabria Turismo srl’.

Soldi che avrebbero utilizzato per la ristrutturazione dell’Hotel dei Fiori a Falerna. Proprio a seguito dell’interdittiva antimafia, il finanziamento pubblico era stato revocato. Nelle 432 pagine di ordinanza cautelare, il gip scrive anche come la Bagalà ”unitamente al padre e al marito si sia impegnata nel reperimento di altre risorse economiche di dubbia provenienza, finalizzate a perseguire il programma criminoso della cosca”.

Dalle indagini, su Andrea Giunti è emerso che avrebbe organizzato ”operazioni di riciclaggio di denaro”. Non solo, avrebbe anche utilizzato proventi per acquistare una discoteca a Courmayeur. Anche per Giunti, la procura di Catanzaro aveva chiesto la misura cautelare, respinta dal gip che non ha ritenuto ”raggiunta la soglia della gravità indiziaria” nei suoi confronti.