I tentacoli della ‘ndrangheta in Trentino, colpo alla cosca Serraino: 5 fermi, tra cui un ex assessore

Blitz del Ros e della Polizia. Colpiti elementi di vertice, luogotenenti e affiliati alla potente cosca della ‘ndrangheta operante nella città di Reggio Calabria e in provincia di Trento, ritenuti tutti responsabili di associazione mafiosa. Fermato anche un poliziotto, ex assessore a Reggio Calabria

Carlomagno

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È in corso dalle prime ore di questa mattina un’operazione della Polizia e dei Carabinieri del Ros di Trento e Reggio Calabria, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, finalizzata all’esecuzione di 5 fermi emessi nei confronti di presunti elementi di vertice, luogotenenti e affiliati alla potente cosca della ‘ndrangheta Serraino operante nella città di Reggio Calabria e nel Trentino Alto Adige, ritenuti tutti responsabili di associazione mafiosa.

Gli investigatori del Reparto operativo speciale di Reggio Calabria e Trento e della Squadra mobile reggina stanno eseguendo anche numerose perquisizioni e il sequestro di un esercizio commerciale.

Contestualmente è in corso una corrispondente operazione coordinata dalla Dda di Trento nell’ambito di una indagine che ha consentito al Ros dell’Arma trentina di accertare l’esistenza e l’operatività di una Locale di ‘ndrangheta con influenza sull’intera provincia di Trento, quale proiezione della omonima struttura criminale operante a Cardeto (Reggio Calabria) ed oggetto della operazione a Reggio Calabria.

I fermati sono Antonio Serraino, detto “Nino”, 40enne, considerato l’attuale reggente dell’omonima cosca di ‘Ndrangheta, figlio del defunto Domenico Serraino detto “Mico” (classe ’45) e nipote del defunto Francesco Serraino, (classe 1929) alias “il boss della montagna”; Francesco Russo, detto Ciccio “lo Scalzo” o “’U Scazzu”, 47enne; Antonino Fallanca, 66enne;  Paolo Russo, detto “Zamburro”, di 59 anni; Sebastiano Vecchio, detto “Seby”, reggino di 47 anni, Assistente capo coordinatore della Polizia di Stato, in forza presso il Compartimento Polizia Ferroviaria di Venezia e attualmente sospeso dal servizio in forza di un provvedimento disciplinare. I primi quattro sono tutti di Cardeto.

L’indagine Pedigree 2 riassume gli ulteriori esiti di articolate investigazioni, condotte con l’ausilio di molteplici presidi tecnici di intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche e con l’apporto dichiarativo di numerosi collaboratori di Giustizia reggini, anche recenti. L’inchiesta costituisce il seguito dell’operazione “Pedigree”, nell’ambito della quale la Squadra Mobile di Reggio Calabria, il 9 luglio scorso, ha tratto in arresto – in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare in carcere e agli arresti domiciliari, emessa dal GIP presso il locale Tribunale – capi e gregari della cosca Serraino;

L’indagine è integrata dalle risultanze di un’indagine della Direzione Distrettuale Antimafia di Trento, condotta dai Carabinieri del R.O.S. del luogo a carico di un’articolazione della cosca Serraino operante in Trentino Alto Adige, in costante contatto con gli esponenti più autorevoli della “casa madre” reggina. Convergenze di rilievo investigativo hanno portato al coordinamento promosso dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria e Trento sotto l’egida della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo.

Le indagini hanno consentito di accertare che il ruolo apicale in seno alla consorteria mafiosa è attualmente ricoperto da Antonio Serraino, detto “Nino”, figlio del defunto Domenico e fratello di Alessandro Serraino, classe 1975 detto “Lisciandro”.

Il suo ruolo di vertice all’interno dell’omonima cosca – spiegano gli investigatori – è stato tratteggiato anche dai collaboratori di Giustizia che lo indicano quale esponente di spicco dell’associazione mafiosa con un profilo più riservato rispetto a quello del fratello Alessandro, ma ugualmente strategico e di rango verticistico, particolarmente rivolto alla cura degli aspetti nevralgici legati alle infiltrazioni nell’economia ed ai rapporti con la politica e le istituzioni, sebbene abbia finito per assumere, nel corso degli ultimi anni, dopo l’arresto del fratello Alessandro e del cognato Fabio Giardiniere [coinvolti nel procedimento Epilogo], un ruolo maggiormente operativo prendendo in mano le redini della ‘ndrina soprattutto nella gestione delle estorsioni enella suddivisione dei proventi illeciti del sodalizio.

Francesco Russo classe 1973, detto “Ciccio lo scalzo”, è stato indicato dai collaboratori di Giustizia come storico componente della cosca Serraino con il ruolo direttivo in seno alla consorteria mafiosa di “capo società” che aveva presieduto i riti di affiliazione e che, dopo la sua recente scarcerazione nel 2017, aveva mantenuto un ruolo apicale, interloquendo direttamente con il capo della ndrina Nino Serraino. Le dichiarazioni dei collaboratori trovano concreto riscontro nelle risultanze dell’indagine condotte dalla Squadra Mobile nell’ambito dell’operazione “Pedigree” eseguita in data 9 luglio 2020, nonché nelle indagini condotte dal ROS di Trento sotto l’egida di quella DDA. In alcune conversazioni,esponenti di vertice e sodali trentini della cosca Serraino descrivono Francesco Russo come un soggetto serio e azionista pericoloso, pronto a recarsi all’occorrenza in Alto Adige per dare manforte alla compagine mafiosa di quel territorio.

Al ruolo di Antonino Fallanca – amministratore unico della “Fallanca Colori s.r.l.”, ditta che si occupa di produzione e commercializzazione all’ingrosso ed al minuto di vernici, colori, ferramenta, bricolage, di prodotti per l’edilizia e legname – hanno fatto riferimento i collaboratori di Giustizia, che lo indicano come affiliato di elevato lignaggio criminale della cosca Serraino, la cui crescita imprenditoriale è stata alimentata dai suoi rapporti privilegiati con le ndrine Serraino e Rosmini. Dalle indagini è emerso come il Fallanca abbia sfruttato il suo ruolo di esponente di vertice di una delle più temibili cosche di ‘ndrangheta, per indurre gli imprenditori locali ad avvalersi dei servizi resi dalla propria impresa.

I collaboratori di giustizia, nel corso dei recenti interrogatori, nel rievocare il passaggio alla “società maggiore” e il conferimento della dote della “Santa”, avevano indicato – tra i partecipanti al rito – un soggetto soprannominato “Zamburro”. Gli accertamenti svolti dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria hanno consentito di identificare il predetto in Paolo Russo, classe1961. Anche gli esiti provenienti dalle indagini della D.D.A. di Trento suggellano la genuinità del racconto dei collaboratori di giustizia.

Le intercettazioni documentano la solidarietà criminale di “Zamburro” con gli esponenti del locale altoatesino e testimoniano – perfettamente in linea con quanto dichiarato dai collaboratori – la caratura mafiosa di Paolo Russo, in grado di “battezzare” nuovi sodali.

A carico di Sebastiano Vecchio, detto “Seby”, Assistente Capo Coordinatore della Polizia di Stato in forza al Compartimento Polizia Ferroviaria di Venezia, attualmente sospeso dal servizio per motivi disciplinari, nonché, per diversi anni, consigliere comunale ed assessore a Reggio Calabria dove ha rivestito anchela carica di Presidente del Consiglio Comunale, la Dda di Reggio Calabria ha disposto il fermo di indiziato di delitto per associazione mafiosa sulla base di plurime chiamate in correità, riscontrate peraltro dagli esiti di alcune intercettazioni effettuate nell’ambito del procedimento Pedigree – dalle quali è stato delineato a suo carico un gravissimo quadro indiziario.

Sebastiano Vecchio è stato dal 2002 al 2007 consigliere della VII Circoscrizione San Giorgio – Modena – San Sperato; dal 22 giugno 2007 al 5 luglio 2010 assessore alla Pubblica Istruzione della seconda giunta Scopelliti del Comune di Reggio Calabria; dal 20 giugno 2011 al 10 ottobre 2012 Consigliere del Comune di Reggio Calabria, rivestendo, contestualmente, la carica di Presidente del Consiglio.

Diversi collaboratori di giustizia – ritenuti dalla Dda tutti di comprovata affidabilità – hanno descritto Sebastiano Vecchio come soggetto legato, a doppio filo, alla cosca Serraino e ciò a dispetto dei ruoli istituzionali dallo stesso rivestiti.

Vecchio, poliziotto a lungo dedicatosi all’attività politica, in tale doppia veste – secondo l’accusa – non ha esitato ad interloquire con i Serraino e con altri esponenti della criminalità organizzata reggina, ricavando benefici elettorali ed assicurando ai suoi sodali una ventennale “messa a disposizione” per venire incontro alle loro più svariate esigenze. Subito dopo la sua elezione e la successiva designazione quale Assessore alla Pubblica Istruzione, erano sorte, però, impreviste tensioni con gli esponenti del sodalizio mafioso, degenerate persino nel danneggiamento incendiario di due autovetture di Sebastiano Vecchio.

I resoconti dei citati collaboratori troverebbero conferma in un episodio rappresentativo dell’estrema vicinanza di Sebastiano Vecchio alla ‘ndrina dei Serraino. Il 12 marzo 2010, Vecchio – all’epoca assessore del Comune di Reggio Calabria – prendeva parte, presso la chiesa di San Sperato, ai funerali del boss Domenico, inteso “Mico” Serraino, capo della cosca, già sottoposto al regime carcerario ex art. 41 bis, fratello del defunto Francesco (Don Ciccio, “re della montagna”) e padre di Alessandro, alias “Lisciandro”, e dell’odierno indagato Antonio, inteso “Nino” Serraino.Quella presenza non poteva che essere motivo di vanto per la storica ndrina reggina, che – agli occhi della popolazione e delle cosche alleate – si fregiava dell’ultima riverenza, attribuita al suo capo, da un rappresentante delle istituzioni. Ciò a maggior ragione perché il Questore pro tempore – tenuto conto della personalità del deceduto – aveva emanato apposita ordinanza con cui vietava il trasporto della salma in forma pubblica e solenne.

È emerso, inoltre, anche grazie alle intercettazioni telematiche ed ambientali disposte nel corso dell’indagine Pedigree, come il Vecchio abbia intessuto illecite cointeressenze con gli esponenti della cosca Serraino sino ad epoca recentissima, concorrendo nell’intestazione fittizia di un ristorante in realtà riconducibile a Maurizio Cortese, con precedenti, incontrando quest’ultimo durante la latitanza e fornendo informazioni riservate ai membri dell’associazione mafiosa.

Contestualmente, è stato eseguito il sequestro preventivo disposto dalla Direzione Distrettuale Antimafia a carico della società “Fallanca Colori s.r.l.”, con sede a Reggio Calabria, e relativo patrimonio aziendale (comprensivo di beni immobili, mobili registrati e disponibilità finanziarie), intestata ai familiari di Antonino Fallanca, amministratore unico della società.

La Direzione Distrettuale Antimafia reggina ha ritenuto necessario procedere al sequestro preventivo di tale attività imprenditoriale, in quanto risultata in rapporto di conclamata strumentalità con il reato di associazione mafiosa contestato a Antonino Fallanca.

L’inchiesta condotta da Polizia e Carabinieri è stata coordinata dai Sostituti Procuratori della Repubblica di Reggio Calabria, Stefano Musolino, Walter Ignazitto e Sara Amerio.