Erano diventati i padroni di Monasterace e per chi osava alzare la testa erano guai. Il potente clan Ruga è stato sgominato nella notte dal blitz dei carabinieri del gruppo Locri che ha operato insieme ad altri reparti speciali su mandato della Dda di Reggio Calabria.
Quattordici le persone arrestate tra boss e picciotti affiliati ai clan che in questi anni hanno terrorizzato il paese dove è stata sindaca per due volte l’ex ministro del governo Renzi Maria Carmela Lanzetta, anche lei presa di mira dagli uomini del clan. Nel 2011 le incendiarono la farmacia e nel 2012 le crivellarono di pistola la sua automobile.
Un’inchiesta avviata a seguito del terribile omicidio del boss Andrea Ruga, maturato nell’ambito di contrasti sorti all’interno delle cosche emergenti che volevano contendersi un territorio ritenuto “vergine” e “incontaminato” dai loschi affari nel Reggino.
Ai tempi dell’ascesa dei clan, sull’altro fronte c’è stata un’altra “ascesa”: quella appunto della Lanzetta schierata energicamente in prima linea contro la ‘ndrangheta assieme ad altre tre sindachesse calabresi: le colleghe di Decollatura, di Rosarno e Isola Capo Rizzuto, quest’ultima poi arrestata tempo dopo con accuse pesantissime: mafia.
La loro “battaglia” per la legalità balzò agli onori della cronaca nazionale e internazionale. Tutte donne del Pd, vennero allora scaricate dall’ex segretario dem Pierluigi Bersani che con loro fece le “passerelle” per poi ignorarle alle competizioni politiche del 2013.
Intanto, El Pais dedicò loro una decina di pagine per valorizzarle e sottolinearne l’impegno contro le ‘ndrine nella regione più mafiosa d’Europa. Fu Matteo Renzi, incaricato di formare il governo a scegliere Maria Carmela Lanzetta (civatiana di ferro), come ministro degli Affari regionali. Un modo per riconoscerne l’impegno in un’area delicata e degna di attenzione.
Il presidente del Consiglio in pectore salì al Quirinale con la stessa lista da cui venne depennato da Guardasigilli, sotto lo stupore di tutti, il magistrato Antimafia, Nicola Gratteri. Il Colle disse che era un “magistrato in servizio”, ma Renzi, che capì lo “sgambetto”, fece buon viso a cattivo gioco nominando al suo posto Andrea Orlando.
Si formò il governo e Maria Carmela Lanzetta giurò da ministro, quasi per caso e quasi a sua insaputa. Un ruolo prestigioso che però non riuscì a ricoprire con la stessa energia che aveva ai tempi del suo impegno antimafia. “Un ministro invisibile”, criticò qualche osservatore.
La farmacista vittima dei clan commise degli errori e prese qualche scivolone di troppo. Ad esempio quando disse al Corriere, un po’ ingenuamente, che lei non accusava le ‘ndrine di Monasterace: “‘Nndrangheta? ci vogliono prove. E io senza prove non parlo”. Si sollevò un polverone e tra l’inerzia registrata al ministero e questa uscita infelice fu costretta a dimettersi, con un escamotage che la irritò molto.
Le proposero di entrare in giunta con l’anti Renzi calabrese, il governatore Mario Oliverio che aveva scelto insieme a lei Antonino de Gaetano, ritenuto un politico vicino al clan dei Tegano. E lei per questo rifiutò: “Non entro in giunta con De Gaetano”. Altra bufera. Lei adesso è tornata a fare l’antico mestiere di famiglia. La politica pare non faccia per lei. Probabilmente – ci andrebbe di scrivere certamente – perché troppo onesta. Oggi il blitz che ha decapitato capi e picciotti che attentarono alla sua tranquillità e che, in qualche modo, hanno determinato la sua poco brillante “carriera” politica e istituzionale.