Bruno Gemelli per il Quotidiano del Sud
La prima seduta del Consiglio regionale della Calabria che si doveva tenere oggi è rinviata al 7 gennaio perché il consigliere Ennio Morrone è malato. È come se il senatore Mimmo Scilipoti (un nome a caso) chiedesse ai vertici dello Stato il rinvio dell’elezione del Presidente della Repubblica perché deve completare le cure a Terme Vigliatore.
Il paragone non sembri azzardato o blasfemo perché si parte dal principio che tutte le istituzioni, dalla più grande alla più piccola, hanno la medesima dignità. Non si possono fare eccezioni per una malintesa forma di cordialità pelosa. Anche perché si creano pericolosi precedenti. E, in ogni caso, come vedremo più avanti, la pezza sembra peggiore del buco.
La vicenda del rinvio del Consiglio regionale è sfuggita di mano. In qualunque modo la si voglia considerare. Anche a volere dare il beneficio d’inventario ai protagonisti del papocchio, a concedere la massima buona fede, a dichiarare che in fondo si tratta di una tempesta in un bicchier d’acqua, insomma a riconoscere tutte le attenuanti generiche, resta una leggerezza istituzionale così grossolana che fa sorgere il sospetto che ciò che è stato fatto nasconda qualcosa. Non si tratta di dietrologia ma di buon senso.
Insomma, la Calabria aspetta dal 7 marzo scorso, a far data dalle dimissioni annunciate di Beppe Scopelliti, il nuovo governo regionale e dopo dieci mesi (dicasi dieci) i decisori spostano in avanti l’orologio di dieci giorni perché un consigliere è malato. Troppa grazia Sant’Antonio!
La vicenda mette in piedi una serie di responsabilità e individua alcuni retroscena. Il responsabile numero uno è il presidente uscente Francesco Talarico che accoglie la lettera di Ennio Morrone che contiene una “piccola bugia” laddove – informa lo stesso Talarico «Nella stessa richiesta, è fatto riferimento, inoltre, anche all’impossibilità per altri consiglieri regionali di opposizione di essere presenti alla seduta del 29 in quanto fuori sede».
Altri? Quanti? Morrone. E poi? Forse Nicolò. E poi? Basta. Anzi i consiglieri azzurri Domenico Tallini, Fausto Orsomarso, Giuseppe Graziano, Giuseppe Mangialavori, Nazzareno Salerno e Francesco Cannizzaro nella serata stessa di sabato si sono affrettati a dire che oggi saranno a Palazzo Campanella perché contrari a qualsiasi rin vio.Talarico astutamente fa valere l’in formativa, e quindi il consenso al rinvio, fornita al presidente Mario Olive rio che forse ingenuamente ha applicato quello che gli anglosassoni chiamano “un gentlemen’s agreement (accordo fra gentiluomini), intesa informale tra due parti.
Questi i fatti così come sono stati prodotti dalle dichiarazioni diffuse alla stampa. Naturalmente resta una coda politica/partitica che sta animando le varie segreterie in queste ore. Una coda che animerà il dibattito di questi ultimi giorni dell’anno.
Innanzitutto all’interno di Forza Italia dove s’è verificata una spaccatura verticale che costringerà la coordinatrice regionaleJole Santelli a sudare le proverbiali sette camice per placare la lite. L’errore di Morrone non è stato quello di fare la richiesta a Talarico, ma di dire a Talarico che “altri” erano nella sua stessa condizione di infermo.
E Talarico, che avrebbe dovuto cestinare la richiesta perché irricevibile, quanto meno avrebbe dovuto verificare lo stato di salute degli “altri”. E visto che la categoria di ex presidente del gruppo Forza Italia non esiste, lo stesso Talarico avrebbe dovuto telefonare a Jole Santelli per informarla.
L’ha fatto? Molti sostengono che dietro questo pasticcio ci sia il problema della formazione dell’ufficio di presidenza. Su cui nessun schieramento in campo pare sia pronto. Né la maggioranza né le due minoranze, Forza Italia e Casa delle libertà da un lato, e Nuovo centrodestra dall’altro, avrebbero deciso chi mandare in quei posti.
Il Partito democratico è cascato nella trappola dei vecchi sistemi consociativi in uso a Palazzo Campanella, ma il segretario regionale Ernesto Magorno tranquillizza il suo popolo: «relegando al passato trucchi e trucchetti che hanno solo nuociuto al confronto democratico».