La Polizia di Stato di Catanzaro ha arrestato, su disposizione della Direzione Distrettuale Antimafia del capoluogo, esponenti di rilievo e sodali della cosca Gallelli, operativa nel comprensorio del basso versante jonico della provincia di Catanzaro, in quanto ritenuti responsabili di numerosi episodi estorsivi a carico di un’impresa agricola appartenente ad una nota famiglia di latifondisti. L’operazione è stata denominata Pietranera.
Le attività investigative, condotte dalla Squadra mobile di Catanzaro, coordinate dalla Dda di Catanzaro, hanno permesso di accertare che il capo cosca Vincenzo Gallelli, di 74 anni, sin dai primi anni ’90 imponeva la “guardiania” sulle proprietà di una nota famiglia di Badolato, fissando altresì le modalità di sfruttamento dei terreni, costringeva di anno in anno gli imprenditori a concederli a pascolo ed erbaggio a propri familiari, nipoti e pronipoti, impedendone in tal modo il libero sfruttamento commerciale da parte dei legittimi proprietari.
La pressante condizione di assoggettamento ed omertà imposta ai titolari dell’azienda agricola, realizzata anche con sistematici danneggiamenti alle strutture dell’impresa, li aveva costretti a modificare e rivedere i termini e le condizioni contrattuali stabiliti con altri operatori agricoli, la cui presenza doveva rappresentare una sorta di argine alle pretese ed ai condizionamenti di Vincenzo Gallelli.
Sono 7 gli arrestati della Polizia su ordine della Dda nell’operazione Pietranera scattata stamane a Catanzaro. Si tratta di Vincenzo Gallelli, di 74 anni, alias “Cenzo Macineju”, Andrea Santillo, 57, detto “Nuzzo”; Antonio Santillo, 28; Antonio Gallelli, 37; Francesco Larocca, 51; Giacomo Nisticò, 50; Giuseppe Caporale, 36.
Gli indagati, tutti del comprensorio di Soverato, sono ritenuti colpevoli, a vario titolo, di più episodi di estorsione aggravata dalla metodologia mafiosa, nei confronti di due imprenditori agricoli con attività ubicata nel Comune di Badolato.
L’INCHIESTA
Le attività investigative, condotte dalla Squadra Mobile di Catanzaro, coordinate dalla Procura distrettuale antimafia di Catanzaro, nelle persone dei procuratori aggiunti Vincenzo Luberto e Vincenzo Capomolla, con la supervisione del procuratore capo Nicola Gratteri, hanno permesso di accertare che il capo cosca settantaquattrenne Vincenzo Gallelli ha imposto, per oltre vent’anni, la “guardiania” sulle proprietà di una nota famiglia di Badolato, fissando altresì le modalità di sfruttamento dei terreni e costringendo, di anno in anno gli imprenditori a concederli a pascolo ed erbaggio a propri familiari, nipoti e pronipoti, impedendone in tal modo il libero sfruttamento commerciale da parte dei legittimi proprietari.
Le investigazioni, effettuate mediante l’attivazione di intercettazioni telefoniche ed ambientali, hanno fatto emergere, in particolare, come gli imprenditori agricoli, vittime delle pretese estorsive, per il periodo temporale che va dalla metà degli anni ’90 all’anno 2008 siano stati costretti ad accettare la presenza nelle loro aziende, quale “custode” di Vincenzo Gallelli, il quale in virtù delle doti criminali rivestite, garantiva loro la cd. “tranquillità ambientale”, costringendoli, per converso, a donargli quale controprestazione, numerosi terreni, nonché ad affidare la gestione e lo sfruttamento di altri fondi agricoli a sé od ai suoi più prossimi familiari, quali il pronipote trentasettenne Antonio Gallelli con divieto, di fatto, di esercitare, sui terreni attività non concordate con il capo cosca.
In particolare, ogni qual volta le vittime tentavano di dare corso ad una produzione agricola intensiva, i loro raccolti erano completamente distrutti dagli animali posseduti dai membri della famiglia Gallelli lasciati abusivamente al pascolo sui terreni coltivati.
La pressante condizione di assoggettamento ed omertà imposta ai titolari dell’azienda agricola li costringeva inoltre a modificare e rivedere i termini e le condizioni contrattuali stabiliti con altri operatori agricoli, la cui presenza doveva rappresentare una sorta di argine alle pretese ed ai condizionamenti di Vincenzo Gallelli.
Quest’ultimo per la realizzazione dei propri intenti criminosi utilizzava il nipote Antonio Santillo (classe ‘89), i pronipoti Antonio Gallelli (classe ‘80) e Giuseppe Caporale (classe ‘81), paventando per il tramite del Franco Larocca (classe ‘66), del genero Giacomo Nisticò (classe ‘67), il verificarsi di gravissimi atti di sangue qualora le direttive del capo cosca non fossero state seguite.
Il contesto di totale soggezione psicologica nel quale si erano venuti a trovare le vittime, induceva le medesime ad omettere per anni di sporgere formale denuncia contro l’ arbitraria ed abusiva occupazione dei terreni nonché l’utilizzo dei mezzi agricoli che nel corso degli anni i Gallelli avevano attuato anche mediante minacce al fattore dell’impresa agricola.