Massimo Franco per il Corriere della Sera
Il tentativo del Pd è di mostrare tolleranza zero verso i corrotti del partito, salvando la giunta di Ignazio Marino e quella regionale di Nicola Zingaretti. La strategia ha un doppio obiettivo.
Il primo è di impedire che i nuovi arresti dell’inchiesta «Mafia capitale» aggravino la frattura tra i partiti di governo e l’opinione pubblica. Il secondo è di mostrare una determinazione che oscuri le polemiche su Vincenzo De Luca in Campania. Il partito di Matteo Renzi è stato bersagliato da opposizioni e avversari interni per avere sostenuto la sua candidatura, nonostante una condanna che lo porterà ad essere sospeso dalla carica.
Palazzo Chigi appare deciso a difendere a oltranza Marino, per quanto controverso e poco amato: il sindaco come baluardo della legalità contro la «Mafia Capitale» scoperchiata dall’inchiesta del procuratore Giuseppe Pignatone.
Se questa è l’impostazione, qualunque richiesta di dimissioni viene definita come un aiuto alla criminalità. Il sindaco ha indubbiamente dalla sua parte il fatto di essere considerato un nemico «dai poteri criminali che ne auspicavano la caduta», come ricorda il commissario Matteo Orfini.
Si accredita la rottura tra il Pd del passato che «non si era accorto della guerra tra bande», e l’attuale, trasformandolo nella bandiera di una «antimafia capitale». E il premier rafforza la tesi, avvertendo che «chi ha violato le regole deve andare in galera e pagare tutto fino all’ultimo giorno». Tra i Democratici, tuttavia, serpeggia il dubbio che lo spostamento del fronte da Napoli alla capitale sia difficile da tenere. Orfini sostiene che il partito romano si sarebbe «rigenerato»: tesi accolta con cautela.
La domanda fatta sotto voce è che accadrebbe se nelle prossime settimane dovessero arrivare altri arresti, e il cerchio si stringesse ancora di più intorno alla giunta Marino e alla Regione Lazio guidata da Nicola Zingaretti, associato come garanzia di un nuovo corso virtuoso. L’idea che la magistratura abbia tolto «un ascesso» criminale è suggestiva, ma forse un po’ riduttiva. Non sembra tenere conto della pervasività della corruzione; delle sue ramificazioni e della sua profondità.
Per questo, non si esclude a priori la possibilità che il Comune sia sciolto dal prefetto e commissariato: sebbene tutti sappiano che si tratterebbe di una scelta politica traumatica, decisa a Palazzo Chigi. L’insistenza con la quale Lega, FI e soprattutto Movimento 5 stelle chiedono le dimissioni di Marino, punta probabilmente a impedirle. Verrebbero viste infatti come un cedimento o come un’ammissione di responsabilità. Ma esiste anche una preoccupazione più generale: sciogliere il Comune di Roma nell’anno del Giubileo sfregerebbe l’immagine internazionale dell’Italia. L’ennesimo attacco del Papa alla corruzione è un monito pesante.