La “seconda guerra di Ndrangheta”. Reggio Calabria come Beirut: 700 morti ammazzati

L'inizio della guerra scoppiò a Reggio dove nascono dei problemi tra gli Imerti e i De Stefano per la gestione della possibile costruzione del ponte sullo stretto di Messina e perché i De Stefano volevano espandere il loro potere fino a Villa San Giovanni territorio degli Imerti.

Carlomagno

Ai Lettori

Secondo Piano News non riceve finanziamenti pubblici come i grandi e piccoli media mainstream sovvenzionati a pioggia dallo Stato. Pertanto chiediamo ai nostri lettori un contributo libero che può permetterci di continuare a offrire una informazione vera, libera e corretta.

SOSTIENI L'INFORMAZIONE INDIPENDENTE
 
SEGUICI SUI SOCIAL
Per ricevere gli aggiornamenti lascia un like sulla nuova pagina Fb. Iscriviti anche al Gruppo "Un Unico Copione Un'Unica Regia". Seguici pure su TELEGRAM 1 (La Verità Rende Liberi); e TELEGRAM 2  (Dino Granata), come su Twitter "X" SPN nonché su X (Dino Granata)

Tra il 1985 ed il 1991 la città di Reggio Calabria fu teatro di un sanguinoso scontro armato tra le cosche passato alla storia come “seconda guerra di ndrangheta”, all’esito della quale venne ridefinita la nuova struttura gerarchica ed organizzativa della ndrangheta. I morti ammazzati furono circa settecento.

Diverse sono le motivazioni che avevano spinto i clan ad entrare in guerra. Di certo, tra le cause scatenanti il conflitto, vi furono i dissidi insorti tra le cosche Imerti e De Stefano che avevano manifestato un certo interesse ad espandere la loro influenza sul territorio di Villa San Giovanni anche in previsione dei futuri interessi economici legati alla possibile realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina.

Il 16 febbraio del 1985, il boss Antonino Imerti alias “Nano Feroce”, contrae matrimonio con Giuseppa Condello sorella del boss Domenico inteso “Micu u Pacciu”, nonché cugina di Pasquale alias “Il Supremo”.

Prima dell’inizio della guerra tra clan, i Condello erano federati ai De Stefano, in particolare Pasquale “Il Supremo” era uno degli uomini di fiducia del defunto boss Paolo De Stefano, la cui famiglia di ndrangheta guardò con forte preoccupazione all’unione tra le due cosche Imerti e Condello, ritenendo che da questo nuovo vincolo sarebbe potuta nascere una forte minaccia in grado di intaccare la loro egemonia sul territorio.

Da qui la decisione dei De Stefano di compiere un attentato alla vita di Antonino Imerti, nei confronti del quale – in data 11 ottobre 1985 – venne fatta esplodere un’autobomba a Villa San Giovanni che causò la morte di alcuni suoi affiliati ma non quella del boss. In risposta al cruento attentato, due giorni più tardi, il 13 ottobre 1985, un commando armato formato da esponenti del clan Imerti – Condello entrò in azione nel quartiere di Archi, cuore del territorio dei De Stefano, uccidendo in un agguato il boss Paolo.

È questo l’evento che sancisce l’inizio della seconda guerra di mafia a Reggio Calabria, con la violenta contrapposizione tra le famiglie di ndrangheta presenti sul territorio e sostanzialmente suddivise in due cartelli:

Il primo è quello “CONDELLIANO” del quale facevano parte le famiglie mafiose degli IMERTI, SARACENO, FONTANA, ROSMINI, ARANITI, LO GIUDICE, SERRAINO ed altri;

Il secondo quello “DE STEFANIANO” cui facevano capo, invece, le famiglie mafiose dei TEGANO, LIBRI, LATELLA – FICARA, BARRECA, PAVIGLIANITI ed altre ancora.
Oltre 700 furono i morti accertati all’esito dello scontro armato, che si concluse nell’anno 1991 con una pace concordata tra le famiglie mafiose del mandamento reggino, le quali si divisero il territorio in zone di influenza.