8 Dicembre 2024

Manovra, Di Maio e Salvini contro Junker: “Questa Ue tra 6 mesi è finita”

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Di Maio Junker Salvini
Ansa

L’avviso di bocciatura della manovra italiana è il “canto del cigno” di un’Europa perdente: nel tono della risposta dei vicepremier alla lettera arrivata venerdì da Bruxelles, c’è il termometro di una tensione pronta a esplodere. “Sanno di essere finiti”, attacca Luigi Di Maio. “Tra sei mesi saranno licenziati”, concorda Matteo Salvini.

Ma Jean Claude Juncker, presidente della Commissione, ribadisce che Roma è “in una situazione difficile” e non può concedersi la “significativa deviazione” dalle regole di bilancio disegnata nel Def.

L’avviso dell’Ue però non sembra per ora sortire effetti. Avanti tutta come programmato, senza “piani B”, dice il leader M5s: se non si mantengono le promesse elettorali, “meglio andare a casa”, dice per far capire anche a chi, come il Colle, vigila sulla tenuta dei conti, che non mollerà facilmente.

Ma dietro la linea dura del governo si cela il timore di contraccolpi sui mercati e sul giudizio delle agenzie di rating: se scoppierà la tempesta qualche correzione nella manovra potrebbe arrivare. Ci sarà solo dopo il varo della legge di bilancio, il giudizio di Bruxelles. E Juncker promette che “sine ira et studio” (senza ira né pregiudizi) potranno essere chieste alcune “modifiche”, in un processo “normalissimo”.

I gialloverdi stanno tentando di evitarlo con un’azione diplomatica a livello di istituzioni ma anche di governi, con il premier Giuseppe Conte, i ministri Enzo Moavero e Giovanni Tria, ma anche il presidente della Camera Roberto Fico.

Lo stesso Di Maio, apprezzando che la commissione abbia inviato la lettera al ministro dell’Economia “a mercati chiusi”, parla di una fase “di discussione”: “Ci aspettavamo che la manovra non piacesse all’Ue”, ammette. Ma le posizioni tra Bruxelles e Roma restano lontanissime, perché i leader M5s e Lega si rifiutano di ritoccare il deficit al 2,4% per il 2019, che porta un “deterioramento del deficit strutturale dello 0,8%”.

L’impegno votato “dall’Italia” a luglio a Bruxelles – ricorda la commissione – era di segno opposto. Il 2,4% marca però per Di Maio e Salvini una trincea politica. E segna una duplice scommessa. Che l’Ue guidata da Ppe e Pse non abbia la forza, alla vigilia delle europee, di sanzionare l’Italia. E che se fosse bocciata la manovra, il dividendo elettorale andrebbe a loro favore, contro “l’Europa dei banchieri”. Del resto le loro frasi “sboccate”, osserva Juncker, “fanno capire tante cose…”.

“Vogliono dare all’Ue la colpa della bancarotta”, sostiene dal Pd Maurizio Martina. Ma una cosa è un avviso di sanzioni in Ue, altro sarebbe una impennata dello spread. Per scongiurarlo, un segnale potrebbe venire già dalla risoluzione sul Def che da lunedì sarà discussa in riunioni di maggioranza. Ma non è escluso neanche, ammettono i leghisti, qualche correzione rispetto agli annunci in manovra.

Già adesso non mancano tensioni. Sul reddito di cittadinanza, misura indigesta al centrodestra, Antonio Tajani incalza la Lega, agitando il rischio che vada “a rom e stranieri”. E anche l’economista Alberto Brambilla nota che la spesa assistenziale, “finanziata da imposte”, aumenterà ancora con il reddito.

Accuse che Di Maio respinge, correggendo il tiro pure sulle spese “immorali” che saranno vietate: “Solo il gioco d’azzardo”. Nel dialogo tra i gialloverdi non aiutano però i sondaggi che danno la Lega in costante ascesa (al 33,8%, seconda Pagnoncelli) a discapito del M5s (al 28,5%).

I Cinque stelle ostentano “serenità”, confidando nel “margine di errore del 3%”. Ma dalla legge di bilancio passa la partita elettorale delle europee. E così il M5s, con una serie di comunicati di parlamentari e sottosegretari, denunciano un accerchiamento mediatico ai loro danni. E Di Maio mette nel calderone delle “fake news” anche “la forza della Lega”: “La maggior parte delle misure della manovra sono del M5s”, assicura il leader pentastellato. Salvini legge le sue parole, ma volutamente le ignora. “La vera tranquillità è la nostra – spiegano i leghisti – toni bassi e misure concrete”. (Ansa)


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